Bestiario umano in vasca
“Gli effetti invisibili del nuoto” di Alessandro Capponi
di Valentina Cela / 1 febbraio 2021
Lo scorso settembre, proprio in quel momento dell’anno nel quale ai bagni di mare pian piano si sostituiscono sessioni di allenamento in piscine coperte, è uscita una raccolta di undici racconti tutti intrisi d’acqua clorata, Gli effetti invisibili del nuoto (Hacca, 2020) di Alessandro Capponi. Giornalista per il Corriere della Sera, con alle spalle un esordio letterario (L’amore dei nudi, Salerno Editrice, 2007) premiato come miglior “Premier roman” italiano al festival di Chambery e una biografia di Valerio Verbano (Sia folgorante la fine, Rizzoli, 2009) – scritta a quattro mani insieme a Carla Verbano, madre dell’antifascista assassinato, appena diciannovenne, nel 1980 –, Capponi, dopo più di un decennio di silenzio, ritorna in libreria.
Per farlo, ha deciso di esprimersi nella forma breve del racconto, con una prosa lieve, scorrevole e potente come l’elemento privilegiato, l’acqua.
Simbolicamente sinonimo di rinascita e rinnovamento, l’immersione in acqua e tutti i gesti misurati che vi si accompagnano hanno la sacralità di un rituale e, come in ogni rituale, ciascun attore che vi prende parte ha un proprio animale-guida, espediente che Capponi sfrutta, più che per esplorare le applicazioni mistiche di un totem teriomorfo, per disegnare un’immediata fisionomia dei tipi umani nella mente del lettore. Tartarughe, trichechi, gamberi, lumache e topi sbuffano per riprendere ossigeno tra una bracciata e l’altra, si avvicendano di storia in storia tra le corsie separate da galleggianti di plastica colorata.
Tuttavia, fatta eccezione per le due storie incentrate sui personaggi più anziani di tutta l’antologia – “La ricchezza del gambero” e “Olga Segreto, classe 1925 (al massimo 1926)” –, l’ambiente raccolto della piccola piscina di quartiere non è mai l’alveo dal quale scaturiscono e tantomeno è punto focale di snodo nelle vicende umane.
Posta a lato degli episodi narrati, alcuni quotidiani – a volte solo banali –, altri onirici, la piscina d’inverno in via Casilina è uno spazio residuale nelle vite dei protagonisti degli undici racconti autoconclusivi, frequentata ma mai assiduamente, a volte lontana nell’orizzonte temporale delle vite private di ognuno di essi. La piscina è, di fatto, invisibile, così come, da titolo, sono gli effetti che il nuoto esercita su chiunque trovi il coraggio di cimentarsi, immergersi, risalire.
Essa è più, all’occorrenza, una fonte battesimale, uno Stige, una sorgente della giovinezza, una vasca di deprivazione sensoriale, un non-luogo rigenerante, un brodo primordiale dove alle figure che popolano una Roma contemporanea e caotica è concesso sguazzare, portando a compimento la metamorfosi predetta dai nomignoli zoologici che l’estro dell’istruttrice Barbara assegna a ciascun allievo della scuola di nuoto.
Nelle narrazioni di Capponi non vi è traccia di agonismo, cronometraggi o prestazioni, di malinconia da atleta fallito o di retorica da Bildungsroman imperniato sui sani princìpi dello sport. Dopo la scuola o prima dell’ufficio, terapia per il mal di schiena cronico eseguita di malavoglia nei ritagli di tempo, hobby riscoperto o appagante evasione dal tran-tran, il nuoto diviene per la schiera di dilettanti un modo per rilasciare accidentalmente particelle delle proprie umane tensioni, gioie e dolori, nelle acque celestine dai fondali a mosaico.
È tramite una rete di gesti sottili e trascurabili – assenze improvvise, sfuriate a sproposito, una fretta insolita, un saluto mancato, gli occhialini dimenticati a bordo vasca, un crawl fiacco – che tutti i protagonisti finiscono col disseminare per la piscina, agli occhi accorti degli istruttori Barbara e Germano, di Laura seduta alla reception, indizi sui propri tumulti interiori, indizi che non verranno mai seguiti e che rimangono come bolle sospese, a disperdersi nelle goccioline di vapore acqueo del getto della doccia calda a fine esercizio, nel soffio caldo dei phon ronzanti negli spogliatoi, coperte dai tonfi sordi dei tuffi spiccati dai trampolini sgangherati.
Oltre la porta a vetri che protegge e racchiude come un acquario questo rassicurante panorama, c’è, però, anche chi rischia di affogare nei flutti infidi del mare aperto, chi annaspa perseguitato negli abissi delle proprie ombre, chi riemerge col respiro spezzato ma la «spina dorsale d’acciaio», chi compie un viaggio surreale trasportato dalle rapide nel torrente urbano della città alluvionata, chi agita i piedi senza riuscire a staccarsi dal blocco di partenza.
Sebbene Capponi tratteggi i più variegati stralci dell’esperienza umana, dal tradimento coniugale alla malattia, dal disagio adolescenziale all’apatia della routine, il tono si mantiene sempre molto lontano tanto dalla profondità degli abissi di disperazione – niente a che fare col disperato Nuotatore di John Cheever – quanto dalle altezze vertiginose di tuffi inebrianti nella joie de vivre. Blandamente riconnessi da raccordi, posti a margine ma sufficienti perché per chi legge tutto divenga familiare e interconnesso, i racconti di Gli effetti invisibili del nuoto sono narrati con una lingua scorrevole ed efficace, frammista di dialogo e flusso di coscienza, i frammenti di esistenza che gli interessa riprendere, guizza senza difficoltà dall’onniscienza narrativa al monologo interiore, ma fa tutto questo restando in una tiepida e rassicurante pozza di acqua dolce, senza mai davvero prendere il largo. Ogni momento è sussurrato, come a sentirlo sott’acqua.
Si addice a un libro che sposa la metafora equorea per rendere piccoli sprazzi di vita l’andamento ondulatorio che caratterizza la qualità dei racconti. Accanto a ritratti evocativi e delicati (su tutti, spiccano “La leggerezza della lumaca” Beatrice, che prende a nuotare fendendo l’aria di una calda mattina a piazza Esedra per spostarsi più agilmente tra i luoghi della propria esistenza, e Eleonora di “Braccia rana, gambe delfino, cuore umano” che, stanca di sentirsi spezzata, decide allora di nuotare e vivere nello stile che è solo suo), ve ne sono altri meno riusciti ed equilibrati nel ritmo, nei quali i tempi sono rarefatti e talvolta troppo imprecisi. Lo svolgimento dei brani si ripete in uno schema simile, che in modo soave e ineluttabile – talvolta fino a sfiorare il fastidio – approda a quello che si potrebbe dire lieto inizio, più che lieto fine, sempre aperto verso una corrente di rinnovamento, rinfrancante come l’esercizio per i muscoli stanchi. L’evolversi di qualunque situazione fluisce seguendo un canale già solcato, che presuppone l’abbandono di una postura ormai stantia e dolorosa per uno slancio in avanti – il colpo di reni nel delfino – nello scroscio delle onde smosse dai corpi che ritrovano finalmente consistenza, senso, consapevolezza, valore.
(Alessandro Capponi, Gli effetti invisibili del nuoto, Hacca, 2020, 160 pp., euro 15, articolo di Valentina Cela)
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