Perché tutti ci sbagliamo su tutto
“I rischi della percezione” di Bobby Duffy
di Elisabetta Sangiorgio / 11 febbraio 2021
«Stando a tutti i nostri studi, in ogni paese le persone si sbagliano, e di grosso, su quasi ogni argomento, come i livelli di immigrazione, le gravidanze adolescenziali, i tassi di criminalità, l’obesità, l’andamento della povertà globale, il numero di iscritti a Facebook. Ma l’interrogativo fondamentale è “Perché?”»
Bastano queste poche righe a riassumere il senso del primo libro pubblicato in Italia da Bobby Duffy, I rischi della percezione. Perché ci sbagliamo su quasi tutto (Einaudi, 2019). Duffy, professore di Politiche pubbliche e direttore del Policy Institute al King’s College di Londra, è stato in passato direttore globale dell’Ipsos Social Research Institute. In poche parole è un esperto di statistica, con una passione per quegli aneddoti che fanno fare bella figura ai matrimoni e alle cene con i parenti, caratteristica che non guasta, quando si scrive un libro di divulgazione.
In I rischi della percezione Duffy raccoglie una serie ampia e variegata di esempi che dimostrano come la popolazione mondiale abbia una percezione completamente distorta della realtà, spesso molto più tragica ed esagerata. Ma non si ferma a questa diagnosi: appoggiandosi a un’ampia e ben curata bibliografia, cerca di analizzare le ragioni dei nostri errori di percezione, passando dalla psicologia alla biologia, dall’analisi comportamentale alle teorie della percezione in un intreccio complesso e vasto di cause, effetti e correlazioni.
Il primo pensiero di chi (me compresa) si appresta a leggere un libro del genere è sempre: «Certo, lo vedo che la gente non sa ragionare, io invece non mi sbaglio». Ecco l’importanza del lavoro di Duffy, e la sua utilità nell’aiutarci a costruire una coscienza politica e sociale migliore: voi che mi state leggendo, e io che sto scrivendo, esattamente come tutti gli altri, ci sbagliamo nell’analizzare il nostro ambiente. Molti errori della percezione sono universali, e non si curano del grado di istruzione, dell’estrazione sociale, o dell’intelligenza personale. Anzi se ne fanno beffa, visto che uno dei dati che emergono dal volume è proprio quello secondo cui in genere attribuiamo a noi stessi una capacità cognitiva e di analisi superiore al reale. Tendiamo persino a ricordare voti scolastici più alti di quelli che prendevamo davvero. Insomma, Duffy sembra dirci che prima di tutto serve un bagno di umiltà, perché tendiamo a crederci migliori di quello che siamo.
I pregi di questo libro sono molti, ma vorrei concentrarmi in particolare su due. Il primo è che contiene un repertorio impressionante di curiosità e dati spiazzanti, che vi permetteranno di fare ottima figura con i colleghi alla macchinetta del caffè o con gli amici al bar (ma forse sarebbe meglio dire «in videocall», di questi tempi), chiedendo loro qual è la percentuale di ragazze madri e svelando poi che sono abbastanza lontani dalla realtà. Se poi volete spingervi in là nella discussione, potreste indagare quanto sia sbagliato credere che il resto d’Italia abbia le nostre stesse possibilità, quando un quarto delle famiglie italiane non ha accesso a internet, e quindi, in questa nefasta epoca pandemica, neanche alla didattica a distanza, al telelavoro, o anche solo all’intrattenimento in casa. Insomma, Duffy può persino aiutare a riconsiderare le necessità politiche andando oltre il nostro sguardo privilegiato, anche se nulla ci vieta di usare le sue statistiche solo per stupire gli altri prima di tornare a parlare di serie tv e calcio.
Il secondo grande pregio del libro è che non punta il dito contro l’ignoranza, o magari «l’incompetenza», non elenca i nostri errori per dimostrare che siamo senza speranze. Al contrario, lo fa per suonare un campanello d’allarme che ci spinga a non scaricare sugli altri la colpa delle fake news, di Cambridge Analitica, del populismo e degli anti-vaccinisti. Tutti noi cadiamo in errori che ci portano ad avere un’immagine distorta del mondo, bisogna solo riconoscerli e gestirli, senza cercare di eliminare l’emotività dal ragionamento, perché è impossibile e dannoso. L’emotività va compresa e inserita nelle variabili.
Un esempio su tutti: siamo impostati a livello evolutivo per sovrastimare le minacce. Quando i nostri antenati sentivano un rumore sospetto nella giungla per loro era meglio cominciare a scappare nell’ipotesi che fosse una tigre, piuttosto che fermarsi, calcolatrice alla mano, e chiedersi la probabilità che invece fosse solo il cugino Groot, con cui ci si era già incontrati la mattina per una colazione a base di miele e grasso di gnu. Questo meccanismo non è sbagliato in sé, è stato utile per la nostra evoluzione e può esserlo ancora adesso, quando inchiodiamo alla guida di un’auto o quando controlliamo se dai bruciatori esca puzza di gas. Ma ci conduce a errori di percezione quando dobbiamo riflettere su elementi come il rischio di attentato terroristico nel nostro paese, o la possibilità che i ladri ci rubino in casa.
Molte scelte politiche e sociali sono dettate da percezioni sbagliate. La soluzione non è cercare di non farsi condizionare dal negativo più che dal positivo, sarebbe umanamente impossibile; la soluzione, suggerisce Duffy, sta nel riconoscere questo meccanismo, e riadattare la nostra percezione con più consapevolezza: «So che sono spaventata dai ladri, ma visto che mi sono informata e ho scoperto che i furti nella mia città sono notevolmente diminuiti negli ultimi anni, non credo che vada aumentata la spesa pubblica per la sicurezza».
Quello appena riportato è solo un esempio tra molti: non crediate che sia una prerogativa solo di un certo populismo di destra adattare (o magari manipolare) le percezioni in base ai propri principi. Mentre leggevo il libro ho provato a chiedere a mio marito, le cui idee sono opposte alla destra nazionalista, quale fosse secondo lui la percentuale di immigrati in Italia nel 2020 (il dato reale è il 10,3 per cento). Se l’italiano medio sovrastima di molto i numeri, arrivando a moltiplicarli per tre, lui li ha sottostimati in modo insensato, sostenendo che la percentuale fosse inferiore all’un per cento. Tutti siamo vittime di uno dei più comuni errori della percezione: adattare i dati alle nostre idee sociali e politiche, quando si dovrebbe fare il contrario. Questo meccanismo, spiega Duffy appoggiandosi a un’ampia letteratura di studi e ricerche, viene accentuato dal modo in cui oggi reperiamo le informazioni: possiamo selezionare i giornali, le pagine Facebook, gli amici, i commentatori che sappiamo essere in accordo con le nostre posizioni, e gli algoritmi dei social network ci favoriscono in questa selezione, creando l’ormai famosa «bolla» che ci chiude sempre di più nelle nostre convinzioni.
Ogni capitolo del libro di Duffy, che si parli di come risparmiare meglio, di Brexit o dei social network, è un viaggio, ironico e ben narrato, verso la comprensione dei meccanismi del ragionamento. Una finestra sul mondo com’è davvero, non come lo immaginiamo.
Arrivo a dire che leggerlo può rendere cittadini migliori. E che in tal senso le basi della statistica e del ragionamento ponderato potrebbero essere persino più importanti dell’educazione civica. In questo periodo di post verità, informazioni non verificate e selettività dei contenuti, imparare a uscire dalla propria bolla e conoscere il mondo è fondamentale, ma non sempre facile. Per fortuna ci sono autori come Bobby Duffy ad aiutarci.
(Bobby Duffy, I rischi della percezione. Perché ci sbagliamo su quasi tutto, trad. it. di Francesca Pe’, Einaudi, 2019, 228 pp., euro 18, articolo di Elisabetta Sangiorgio)
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