Transizione ecologica, rivoluzione economica
“Il Green New Deal” di Ann Pettifor
di Valerio Trabucchi e Paolo Ortelli / 18 marzo 2021
Fin dalle prime pagine del suo Il Green New Deal (Fazi, 2020) l’economista britannica Ann Pettifor rivolge una critica impietosa al paradigma neoliberista, responsabile di aver portato al collasso i sistemi di supporto vitale della Terra, e con essi la civiltà umana. La crisi climatica e ambientale che minaccia noi stessi, prima ancora che il pianeta, non può infatti essere affrontata senza una lotta contro il sistema economico imperante, a cui in definitiva va imputata la catastrofe ecologica e sociale in atto.
Questo libro audace, snello, chiarissimo e istruttivo – quando non illuminante – contesta, e anzi ribalta completamente, due idee tanto radicate quanto fuorvianti, quando si parla di economia ed ecologia. Il capitalismo contemporaneo e – spesso – il senso comune sembrano muovere dal presupposto che la terra ci offra risorse naturali infinite, e che invece le risorse finanziarie e monetarie siano scarse (quante volte abbiamo sentito frasi come “non ci sono i soldi” o “non ci sono le coperture”?). In realtà è l’esatto contrario, spiega Pettifor, che è stata fra i primissimi a parlare di Green New Deal e ha ispirato le recenti proposte di Alexandria Ocasio-Cortez in materia di riconversione ecologica. Con un sistema finanziario diverso da quello attuale, globalizzato e privo di regole, gli Stati non avrebbero problemi a finanziare un piano di riconversione verde dell’economia, tenendo conto dei reali vincoli da fronteggiare, che sono invece la non rinnovabilità di molte risorse naturali e i limiti tecnologici e umani del lavoro.
Sappiamo ormai perfettamente che il riscaldamento globale imperversa, e che dobbiamo fare presto, se vogliamo sperare in un futuro più sostenibile per l’ambiente e per la maggioranza degli abitanti della terra. Ma l’abbattimento delle emissioni di CO2 e la riconversione verde della produzione, dei consumi e delle scelte di vita e non sono neanche concepibili, se prima non sarà neutralizzato lo strapotere della finanza, che consente la concentrazione dei capitali in pochissime mani, provoca enormi disparità di reddito, disoccupazione e sottoccupazione e sottrae al potere pubblico e democratico spazi di controllo e azione.
È davvero sorprendente la capacità di Pettifor di spiegare anche al lettore digiuno di economia il funzionamento di base dei moderni sistemi finanziari e monetari, e in particolare il ruolo della moneta. In questo modo l’autrice riesce a inquadrare il problema climatico e le politiche per contrastarlo negli schemi fondamentali della macroeconomia keynesiana: la transizione ecologica non potrà che essere pianificata dallo Stato, unico attore in grado di conciliare salvaguardia dell’ambiente, giustizia sociale e buona e piena occupazione. La pianificazione, grazie alle politiche fiscali dei governi e di concerto con le politiche monetarie della banca centrale è semplicemente il fulcro del Green new Deal: solo la spesa pubblica in servizi universali e in ricerca può finanziare gli investimenti necessari per generare occupazione e permettere la conversione green della produzione.
Come chiarisce Pettifor, questo non significa che il settore pubblico debba fare da solo: dovrà invece affiancare quello privato in un sistema di economia mista «di stato stazionario», in cui cioè la crescita non si fonderà più sull’aumento delle quantità prodotte e sulla dilatazione illimitata dei desideri materiali, ma sulla ricerca della soddisfazione dei bisogni di base di ogni essere umano (non ultimi quelli immateriali). In tutte le fasi della produzione e della distribuzione di beni e servizi, questo tipo di economia dovrà tenere conto delle risorse fisiche disponibili e delle emissioni di carbonio sprigionate.
Se il Green new Deal compete agli Stati, le condizioni per un suo finanziamento sostenibile e duraturo nel tempo passano inesorabilmente da iniziative di portata globale, che richiedono una stretta cooperazione tra paesi sovrani. Il che – notiamo per inciso – rompe con gli schemi mentali che nel conformismo del dibattito pubblico italiano oppongono stancamente “globalismo” e “sovranismo”.
È necessario che i governi riacquistino la sovranità nelle scelte di politica fiscale, perché possano fronteggiare il potere dei grandi gruppi industriali privati e sciogliere il vincolo posto dal settore finanziario. Questo vincolo deriva fondamentalmente dalla libera circolazione internazionale dei capitali, che offre ai loro detentori uno straordinario potere di ricatto nei confronti dei poteri pubblici. Per schematizzare quello che Noam Chomsky ha definito «il Senato virtuale» che di fatto governa il mondo: se tu, Stato, introduci politiche sociali e ambientali restrittive, io, capitale, mi sposterò in un altro Stato). Per far comprendere al lettore l’urgenza del problema, Pettifor afferma niente meno che la limitazione dei movimenti di capitale è «fondamentale per la sopravvivenza del pianeta».
L’autrice propone quindi una vera e propria camicia di forza per la finanza globale, che dovrà essere repressa e riportata su un piano strettamente nazionale, e per la mobilità dei capitali. Ma, per un paradosso solo apparente, l’obiettivo di riconfinare i capitali all’interno delle nazioni implica una riforma internazionale di portata epocale. Non a caso Pettifor fa esplicito riferimento al progetto che impegnò John Maynard Keynes negli ultimi cinque anni della sua vita: costruire un sistema monetario internazionale che non fosse retto da una valuta nazionale (come la sterlina ieri e il dollaro oggi), ma che potesse invece equilibrare gli scambi commerciali grazie a una moneta internazionale e a una clearing union, o «camera di compensazione». Solo così era ed è possibile ripianare gli scompensi fra paesi creditori e paesi debitori e scoraggiare comportamenti mercantilisti, che sono all’origine dell’espansione ipertrofica dei mercati finanziari e dell’intrinseca instabilità – e irresponsabilità sociale e ambientale – del capitalismo.
Quello di Keynes era un progetto ardito e innovatore, che sfidava un sistema monetario internazionale liberista, il Gold Standard, i cui i tratti strutturali sono riconoscibili lucidamente anche nell’attuale. Come il progetto di Keynes uscì in gran parte sconfitto nel 1944 a Bretton Woods (dove si tenne la conferenza che diede vita all’ordine economico del dopoguerra, e in cui il celebre economista inglese rappresentava il proprio governo come delegato), così la riforma della finanza necessaria per sperare in un futuro sostenibile dovrà sfidare l’egemonia del dollaro, valuta di riserva internazionale. Una sfida che potrà sembrare utopica, è chiaro. Ma il Novecento ci insegna che una volta esplose le contraddizioni del sistema possono emergere progetti alternativi, pronti a trasformare gli assetti della finanza internazionale. C’è però una condizione necessaria, per sottrarre potere al capitale nei campi in cui le forze di mercato arrecano più danno ai cittadini e all’ambiente: l’organizzazione e la mobilitazione dei popoli e delle classi sociali che più di tutti ne subiscono i danni.
Pettifor si chiede allora, non senza una certa angoscia per il futuro, in che modo potrà scattare la scintilla che spingerà le persone, e di conseguenza le classi politiche, ad abbracciare queste imponenti ma fondamentali trasformazioni. Emergono allora diverse ipotesi, alcune anche drammatiche: ad accelerare il corso della storia e porre le basi per una nuova coscienza collettiva potrebbe essere un forte shock ambientale, una guerra o un’altra grande recessione. Oppure un trauma di diversa natura: l’autrice scrive nel 2019, ma leggendo con il senno di poi non si può non pensare che questo shock possa essere dato da una pandemia. Ed è probabile che ne arrivino altri, e che la catastrofe climatica si compia: affinché nuove possibili tragedie per l’umanità siano scongiurate, serve una strategia politica immediata di tutte le forze progressiste, per rompere con il paradigma dominante che si è fossilizzato nel senso comune grazie all’egemonia culturale del pensiero neoliberista e inaugurare un nuovo rapporto tra gli esseri umani e il pianeta.
(Ann Pettifor, Il Green New Deal. Cos’è e come possiamo finanziarlo, traduzione di Thomas Fazi, Fazi, 2020, 208 pp., euro 20, articolo di Valerio Trabucchi e Paolo Ortelli)
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