Le variazioni della letteratura
Su “Storie che si biforcano” di Dario De Marco
di Giovanni Bitetto / 11 maggio 2021
L’indipendente campana Wojtek Edizioni sembra avere una particolare attenzione per le opere in cui è di primaria importanza la ricerca formale, lo sperimentalismo e un certo gusto postmoderno viepiù tramontato nelle lettere italiane, e non sempre a giusta ragione, dopo la sbornia filoatlantista di qualche decade fa. Nel novero si ascrivono Teorie della comprensione profonda delle cose di Alfredo Palomba, ambizioso e straripante romanzo-mondo debitore tanto di Antonio Moresco quanto del massimalismo americano di Wallace e soci, Timidi messaggi per ragazze cifrate di Ferruccio Mazzanti, fulminante e svagata novella sull’universo hikikomori, e Storie che si biforcano, nuova uscita firmata da Dario De Marco.
Già dal titolo di questa silloge di racconti si può intuire l’ascendenza borgesiana, parentela che non si ferma solo all’omaggio ma interessa la struttura vera e propria dell’opera. Il libro è costruito su ventuno coppie di racconti i quali, pur presentando ambientazione e personaggi medesimi, a un certo punto della narrazione variano, arrivando a esiti differenti. Ci troviamo dunque di fronte una costruzione simmetrica che fa della forma il fondamento del gioco letterario. Ma c’è di più, perché il libro di De Marco è forse uno dei rari casi di letteratura ergodica all’italiana, ovvero un tipo di letteratura massimamente interessata all’effetto visivo del testo. E infatti il tomo si legge fisicamente in due sensi: i racconti sono disposti a pagine alterne, al termine di ogni racconto segni grafici suggeriscono che, oltre ad andare avanti con la narrazione nel verso consueto, si può capovolgere il libro e leggere il racconto speculare a quello che si è appena letto. Una piacevole scelta tipografica che aumenta l’entropia dell’opera e stimola il lettore a concepire il testo come spazio labirintico.
Ed è proprio della variazione che fa tesoro la scrittura di De Marco, perché, oltre all’attenzione formale, è la stessa materia del racconto a far riflettere sulla miriade di possibilità che possono interessare il campo letterario. Non si può dire che l’autore non abbia fatto un lavoro certosino anche sul piano del significato, il ventaglio di narrazioni è vario e mai banale: si va da racconti di fantascienza a gialli, passando per prove più intime e altre smaccatamente comiche. Proprio il genere, la possibilità di avere delle regole fisse da seguire e trasgredire, facilita l’autore nel porre in evidenza lo scarto fra una via narrativa e la sua controparte. Gli esiti dei racconti spesso riflettono il destino dell’uomo, il fatto che è così volubile, o così esposto al caso: un piccolo dettaglio, un mutamento di poco conto porta a svolte inattese, mette in moto una reazione a catena che sfocia in esiti antitetici, tragici in un senso e, nel racconto speculare, al contrario comici. Così un uomo può morire o trovarsi braccato dalla polizia, un altro assassinato o salvo in una sparatoria, un personaggio può avere un tumore oppure rendersi conto di averlo solo sognato: le permutazioni sono considerevoli.
Sulla scorta di padri nobili del gioco letterario, quali il Manganelli di Centuria e il Queneau degli Esercizi di stile, ma anche, per quanto riguarda l’attenzione che viene richiesta al lettore, il Cortázar di Rayuela, De Marco si approccia al groviglio di traiettorie che può prendere la penna quando si scrive e ne esce con una prova divertente, stimolante, in grado di biforcarsi, triplicarsi, moltiplicarsi all’infinito nella mente del lettore che, abituato a tanta soporifera letteratura odierna, si ritrova per una volta con i neuroni piacevolmente in fiamme.
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