“El viento en un violín” di Claudio Tolcachir
di Luca Errichiello / 28 giugno 2012
Due ragazze si amano e, trattenendo il respiro, fuggono dalla sensazione di un letto troppo stretto per entrambe. In quei pochi secondi di apnea qualche volto si affaccia nelle loro menti, un futuro si delinea, dei sorrisi si dipingono. Nello stesso tempo un incerto psicoanalista malauguratamente scende nell’arena dello scontro con il suo paziente e ne rimane irrimediabilmente schiacciato. Il paziente è un giovane di bella presenza, presenza in cui si mescola quella della madre, onnipresente, eppure atavicamente distante. Storie che si intrecciano in una commedia della vita che riprende i temi della contemporaneità, proponendoli con un gusto almodovariano che non disdegna momenti di ilarità. Nello schema evolutivo del classico ragazzo di ricca famiglia, disimpegnato e svogliato, non poteva non rientrare l’assunzione di improvvise responsabilità. All’arrivo di queste ultime il ragazzo rivela tutta la sua somiglianza alla madre, nel suo passare dal disinteresse totale per la vita al controllo spasmodico di ogni casualità. Analogamente si dipanano i classici conflitti relativi alla sessualità nella famiglia che vede nascere un amore omosessuale, con la finale accettazione da parte della madre di sentimenti ormai irrinunciabili per la figlia. Oltre tutto questo e, forse, prima di tutto ciò, c’è l’assenza dell’uomo, elemento costantemente presente sullo sfondo, sebbene mai adeguatamente sviluppato. Tutto si regge dunque sull’assenza di un padre per un ragazzo sfaccendato, di un padre per una ragazza che affronta la propria sessualità e i propri sentimenti, di un marito per una donna ricca e violentemente direttiva, di un saggio compagno per una domestica che sta invecchiando affrontando una modernità incalzante. Nemmeno lo psicoanalista riesce a dare un punto di riferimento ai personaggi, pur sfiorandoli tutti nel corso della narrazione. Quest’ultimo è semplicemente travolto dalla sua stessa assenza. In una vicenda che vorrebbe esaltare l’amore e la sua costante predominanza sugli accadimenti della vita, che vorrebbe analizzare uno scontro tra generazioni ben noto al pubblico, si preferisce narrare presenze sostanzialmente mancanti piuttosto che simbolizzare l’assenza onnipresente. È proprio questo il limite di profondità di una messa in scena spesso gustosa e ben interpretata, che ha il merito di far interagire sul palco luoghi e culture diversi con estrema semplicità. La casa delle ragazze lesbiche e dell’umile domestica nel quartiere malfamato è anche soggiorno della ricca dimora della donna in carriera e del suo amato figlio annoiato, mentre più defilato è lo studio dello psicoanalista, su cui più precocemente calerà il sipario. Le luci si accendono sulle scene vive e si spengono su quelle in attesa di rivivere, mentre gli attori si arrestano, trattengono il respiro come i loro personaggi, per poi espirare in una recitazione concitata, in cui il riso s’innesta su una tensione sempre palpabile.
El viento en un violín
drammaturgia e regia di Claudio Tolcachir
Andato in scena presso il Teatro Mercadante di Napoli il 15 giugno, nell’ambito del Napoli Teatro Festival.
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