“La fine di qualcosa” di Paolo Di Paolo

di / 12 luglio 2012

Aprendo il recente “quaderno” di letture critiche di Paolo Di Paolo nella parte iniziale, quella che l’autore gestisce tutta in prima persona, ciò che viene fatto di chiedersi è: ma perché Di Paolo ha rinunciato a questa finezza discrittura, a questa sapienza lessicale, a questo personalissimo “movimento” sintattico, per il “basso continuo” di Dove eravate tutti, certo più vissuto, diaristico, ma indubbiamente meno ricco, perfino meno godibile – da un punto di vista strettamente letterario – di ciò che invece si trova in queste altre pagine? Forse per non “fare letteratura”? No, si direbbe: Di Paolo non poteva non aver presente, quanto meno, la Capriolo di pag. 259: «Non ho mai capito perché si dica “Questa è letteratura!” intendendo “Questo non è vero!” […] Questo “Olimpo dell’apparenza” (per usare una espressione di Nietzsche) che l’uomo è andato costruendo nel corso dei millenni è infinitamente più vicino all’ “essere” di quanto non lo siano i fantasmi confusi della nostra quotidianità».

Ma per restare, appunto, al nuovo libro, l’aspetto che più si apprezza, nel modo che Di Paolo ha di leggere gli «scrittori fra i due secoli», è l’attenzione al “farsi” della pagina, più che al suo risultato in termini di apprezzabilità estetica, impressionisticamente intesa: Di Paolo coglie sempre le leggi intime delle scelte espressive di ognuno, e là individua il senso più profondo di ogni autore, la chiave con cui penetrare nel segreto del suo offrirsi, insieme impudico e cifrato, allo sguardo di noi lettori.

E forse ciò di cui dobbiamo ringraziarlo di più è che, nella seconda parte, registrando le risposte di alcuni scrittori più sbilanciati verso “questo” secolo, finisce per delineare una specie di estetica a più voci del fatto letterario: gli interventi di Dario Fo («scartare i termini banali… cercare e portare alla luce la ricchezza del linguaggio…»), Vincenzo Consolo (strutturare le frasi «secondo un’autentica armonia sonora» con «una valenza di significante forte quanto quella di significato…»), Gianni Celati (contro la tendenza a spingere «qualsiasi discorso letterario […] verso l’attualità, assecondando la pigrizia mentale e la vocazione al consumo rapido»), sembrano i più pregevoli, i più in controtendenza rispetto a certo imperare di sciatteria formale usa-e-getta; come, per altro verso, è passabilmente irritante la contrapposizione di Rosetta Loy fra «chi scrive in un italiano chiaro e stupendo» e chi, per il solo fatto di non essere così “chiaro” (magari, banalizzando…), renderebbe “faticosa” la lettura: e chi lo ha detto, che leggere non debba costare “fatica” – o, almeno, quel minimo di sana, stimolante reattività intellettuale…! –, e che il solo parametro di giudizio sia quello della elementarità del dettato?

Ma, quali che siano le risposte che ognuno darà alla domanda, va certo ascritto a merito di Paolo Di Paolo l’avercene svegliato il gusto, così come delle molte altre che si destano mentre ci si aggira davanti a questa collezione di sfolgoranti, variegatissime farfalle-libro, fermate ad ali aperte sotto la sua acutissima, cristallina lente di acchiappa-scrittori.


(Paolo Di Paolo, La fine di qualcosa – Scrittori fra i due secoli, Giulio Perrone Editore, 2012, pp. 150, euro 13)

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