“Il tempo di Mahler” di Daniel Kehlmann
di Sabatino Peluso / 10 ottobre 2012
Che il più abominevole dei labirinti sia il cerchio, è lo scherzo più antico e riuscito che un dio abbia fatto all’uomo. Che questo poi sia diventato simbolo universale del tempo, lo ha dimostrato ancor meglio la forma degli orologi da polso che i filosofi. E se invece vi dicessero che il tempo non esiste e che tutto è dimostrabile con dei calcoli matematici e qualche grafico, correreste a risfogliare il vostro Platone?
Sembra che a Daniel Kehlmann non siano bastate le categorie di passato, presente e futuro per accettare la sostanza del tempo, ma soprattutto non bastano al fisico David Mahler, protagonista del romanzo breve Il tempo di Mahler (Voland, 2012), per impedire la sua personale confutazione del tempo in una realtà che qui è messa in discussione per il suo essere, come il tempo, sempre più invisibile e impercettibile.
Se al labirinto del tempo si aggiunge poi quell’altro infinito labirinto che è il sogno, allora ecco che tutto supera il limite, confonde e ossessiona come in un racconto di Kafka (vittima e artefice stesso della realtà percepita come incubo); un sogno lucido dalle atmosfere da dormiveglia in cui non basta la sola logica geniale di Mahler per poter dire, qui ed ora, esisto.
Poco più di cento pagine di intensa finzione in cui filosofia e scienza, intreccio e tensione, ci mostrano la grandezza di un tema mai esaurito e sempre problematico. «E che cos’è il tempo se non un inseguimento?», inseguimento che significa ricerca della verità finché di una realtà si può avere ancora percezione; finché siamo ancora «nel tempo» e possiamo intuire che esistono leggi su cui è costruita la natura e che sono il fine della ricerca dell’uomo.
(Daniel Kehlmann, Il tempo di Mahler, trad. di Elisabetta Dal Bello, Voland, pp. 110, euro 12)
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