“Niente è cruciale” di Pablo Gutiérrez
di Gianluca Di Cara / 7 dicembre 2012
Pablo Gutiérrez è oggi riconosciuto tra i migliori romanzieri ispanici del panorama contemporaneo. Questa definizione alle volte sembra una semplice esagerazione editoriale, un endorsement volto a vendere più copie piuttosto che a valutare con oggettività un autore o un’autrice. Ebbene, Niente è cruciale (Gran Vía, 2012) ci fa capire che no, non è questo il caso.
Il romanzo conquista per almeno due ragioni: la prima è che tratta di due storie di disagio, quelle dei suoi protagonisti, e le storie di disagio spesso fanno presa sui lettori, perché si identificano con i personaggi e con le loro sofferenze, perché riconoscono al loro interno un passato da dimenticare o un presente da cui scappare o perché, semplicemente, in tutti noi risiede un interesse di fondo per tutto ciò che è, in certo qual modo, morboso. La seconda è che si tratta di un mix perfettamente riuscito di richiami a stili letterari passati e a successi letterari recenti, che non si limita – si badi bene – a una copiatura del “già letto”, ma a una rielaborazione in una chiave nuova e funzionale. Mark Haddon, con il suo Lo strano caso del cane ucciso a mezzanotte, è uno di questi richiami. Nessuno dei personaggi che appaiono in Niente è cruciale è chiamato per nome, nemmeno i protagonisti, Lecu e Magui, meri soprannomi; conosciamo gli uomini e le donne del libro attraverso le loro caratteristiche fisiche o caratteriali, come se leggessimo le parole di un bambino che non riesce a cogliere del tutto la realtà che lo circonda – ed ecco Haddon –: il Sig. Alto e Verboso, la Prima e la Seconda Sig.ra Gentile, Mondolecu e via discorrendo. La narrazione è un insieme di flussi di pensieri e rincorrersi di parole interrotti solo da un cambio improvviso di narratore, sulle prime quasi impercettibile, ma che si rende palese ai nostri occhi quando ormai è troppo tardi, quando l’inarrestabile loquela dei personaggi ci ha ormai cambiato le carte in tavola, imponendoci di fermarci un istante e fare il punto della situazione.
Il libro non finisce mai di stupirci: da racconto si trasforma in scenografia, Gutiérrez si improvvisa regista e dirige il suo film di carta stampata facendoci immaginare – con una certa efficacia – le scene come le deve avere immaginate lui: nei punti in cui è più forte il pathos narrativo, non possiamo fare a meno di provare sensazioni più intense grazie all’improvvisa comparsa di diciture come «carrellata»o «ripresa dall’alto»che, lungi dal creare straniamento, completano il testo, appaiono completamente naturali, “necessarie” perché la narrazione vada avanti. Se a tutti gli elementi descritti finora uniamo uno stile eccellente, che unisce profondità interessanti a volgarità degne di un film da seconda serata, un linguaggio fluido, ben tradotto, allora possiamo davvero riconoscere di avere fra le mani un romanzo che ha superato le nostre aspettative, che ha reso partecipativa la nostra lettura.
Al di là dello stile, poi, se è vero che le storie di “disagio” hanno presa sui lettori, quella di Lecu e Magui avrà probabilmente un certo successo tra di loro: Lecu è figlio di due tossici, vive in una specie di discarica – immaginiamoci i circondari di un qualsiasi magazzino Ikea in una qualsiasi periferia italiana – e viene allontanato dalla famiglia dai servizi sociali per essere cresciuto da alcuni membri di una setta religiosa che, pur affezionandoglisi, non sanno o non possono dargli ciò di cui ha bisogno, mentre Magui viene da una realtà distinta, un piccolo paesino che le sta stretto, dove si sa tutto di tutti e dove la figlia di un uomo che ha abbandonato la famiglia per un altro uomo e di una madre che, col tempo, perde ogni interesse per lei, non può sopravvivere, proprio come non può sopravvivere alla marmaglia che la addita come donnaccia quando si affida a una propria morale durante la scoperta dei piaceri del sesso.
Ciò che accomuna i due protagonisti, al di là della vita frustrante, è che nulla li può salvare, tranne loro stessi: «Ciascuno […] cerca il suo modo per non lasciarsi mangiare dai vermi». La famiglia di Lecu viene salvata dalle droghe e preparata a riaccoglierlo, ma lui non riesce a sopportare questa versione 2.0 della sua vita e la fugge. Magui riesce a ottenere un’autonomia dalla madre, sempre più assente, e dal suo nuovo compagno, che ne catalizza ogni attenzione, ma deve scappare da questo ambiente comunque opprimente per potersi liberare dal peso di una vita insostenibile.
«Il corso quotidiano dei pensieri [è sempre diretto] verso il futuro, anche se il futuro è un loculo, un qualcuno che rimarrà senza di te», afferma Gutiérrez, e così i nostri personaggi si ritrovano soli, si devono organizzare e sopravvivere in piena autonomia, e questo fanno, sostenendosi l’uno con l’altra e trovando, insieme, un genere di libertà che fa presagire finalmente un lieve barlume di luce in fondo ai loro personalissimi tunnel.
(Pablo Gutiérrez, Niente è cruciale, trad. di Anna Mioni, Gran Vía, 2012, pp. 207, euro 15)
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