“Shifty Adventures in Nookie Wood” di John Cale
di Valerio Torreggiani / 10 dicembre 2012
Ogni suicidio, scriveva Balzac, è un poema di malinconia. Poema di cui John Cale potrebbe essere il protagonista perfetto. Il suicidio musicale è infatti il metodo artistico principale con il quale questo gallese nebbioso e annebbiato da droghe e rumori stravolge continuamente quanto appena creato. Ovviamente il metodo non garantisce l’esito, che a volte è sublime, come in Fear (Island, 1974) o in Music for a New Society (Island, 1982), e a volte lascia invece decisamente a desiderare. L’ascolto di Cale è comunque ogni volta un salto nel buio, che fa scaturire un sentimento tanto controverso quanto raro: l’attesa dello stupore.
Sono passati sette anni dal non eccezionale Black Acetate (Emi, 2005) e ben nove dall’invece splendido Hobosapiens (Emi, 2003), con cui il vecchio uccisore di polli aveva aperto il nuovo millennio. Ricordi di anni Ottanta sbocciano ora in questo Shifty Adventures in Nookie Wood (Double Six, 2012), nel quale Cale si moltiplica e come un poliedrico one-man-band compone, arrangia e suona tutti gli strumenti necessari. Come si diceva in apertura, il cambio di rotta rispetto al passato è vertiginoso, da montagne russe senza imbracatura. L’approccio è cupo, melodicamente ma soprattutto stilisticamente. Gli anni Ottanta vengono recuperati in tutta la loro maestosità tenebrosa, permeando di vestiti di pelle e grigiore britannico tutte le dodici tracce presenti nel lotto, tutte accumunate da un medesimo vizio, che per alcuni sarà pregio, di fondo: l’arrangiamento elettronico è onnipresente e pervasivo, con un’elettronica quadrata, regolare, prevedibile e pesante. Decisamente troppo pesante. Soprattutto in quei pezzi che vorrebbero essere ballate, storicamente il vero piatto forte del repertorio caleiano, e che finiscono invece per essere scure marcette, monoliti musicali che si piazzano al centro dello spazio sonoro, stratificati su quarti elettronici e spesse tessiture di tastiere – “Mary” e “Vampire Café” risultano chiari in questo senso. La voce di Cale si dimostra sempre un punto a favore del nostro: un tono caldo disegna melodie semplici e accattivanti, che perdono però ogni credibilità quando, come ad esempio in “Mothra” e “December Rains”, l’uso del vocoder distorce la tenorile complessità del cantato, portandolo verso un non-futuro che suona, se non ridicolo, quanto meno fuori luogo. Insegne luminose su locali vuoti.
Non mancano, certo, ottimi passaggi. Cale rimane pur sempre uno degli ultimi musicisti organici e il suo lavoro lo sa fare decisamente bene. La partenza è di ottima fattura con “I Wanna Talk to U”, che con tiro sostenuto lancia un ritornello pop che convince subito al primo ascolto, anche se non risulta mai chiaro cosa esattamente l’ex Velvet Underground vuole dirci. Ma i passaggi migliori del disco si registrano quando il nostro sceglie di tornare sull’usato sicuro, come nella riscoperta dell’antica vena romantica in “Living With You”, dove una melodia degna delle sue storiche ballate si adagia su una chitarra acustica che, finalmente, prende quasi il sopravvento su una leggera, ma comunque presente, batteria elettronica. D’altri tempi la conclusiva “Sandman (Flying Dutchman)”, dove Cale pecca forse di presunzione autocitandosi in un maestoso pastorale d’autunno che ricorda molto da vicino la splendida “Buffalo Ballet” del 1974, mentre è di morriconiana memoria la chitarra che si inserisce su una statica “Midnight Feast”.
Per concludere, questa rivisitazione degli anni Ottanta è forse l’apice senile di una carriera vissuta quasi interamente ai margini, dove grandi capolavori si alternano a sonore cadute di stile. Questo Shifty Adventures in Nookie Wood non si colloca in nessuna di queste due categorie, ondeggiando a metà strada in un finto sperimentalismo senza lode né infamia. Il limite principale è la linearità verso cui si incanalano in un modo o nell’altro tutti i brani presentati, sfociando in una prevedibilità che risulta tollerabile soltanto laddove il lampo di genio coglie nel segno. Succede, purtroppo, troppo poco spesso. Sembra che Cale, solitamente fuori dagli schemi, abbia voluto cavalcare questa volta un modaiolo ritorno a stereotipati linguaggi elettro-pop e dark-wave, rimanendo però intrappolato in un populismo senza popolarità che non porta né grandi canzoni, né concerti in stadi pieni.
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