[BioSong] “Mein Teil” dei Rammstein
di Alessio Belli / 12 aprile 2013
[Attenzione: questo articolo, per l’argomento trattato, può risultare scioccante per i lettori più sensibili.]
«Suche gut gebauten 18-30 jährigen zum Schlachten».
Nel marzo del 2001, Armin Meiwes viene contattato su internet. Qualcuno ha risposto al suo annuncio: «Cerco ragazzo ben fatto tra i 18 e i 30 anni per essere macellato». Firmato: «Il Maestro Macellaio». A rispondere è Bernd Jürgen Brandes: omosessuale, coprofago, autolesionista fino alla mutilazione, psichicamente deviato, spesso dedito alla prostituzione. Armin Meiwes invita a cena Bernd Jürgen Brandes. Gli somministra una massiccia dose di sonniferi, gli amputa il pene e lo cucina. Sempre in compagnia dell’ospite. Poi Meiwes lo accompagna in bagno e lo lascia morire dissanguato nella vasca. Disseziona e congela la parti del corpo per i futuri pasti. Da quel giorno di marzo, Armin Meiwes diventa «il Cannibale di Rotenburg an der Fulda». Ma non è appagato. Ha ancora fame. Mette un altro annuncio, simile al primo. Viene scoperto dalle forze dell’ordine. Arrestato e condannato in appello all’ergastolo per omicidio volontario. Non viene riconosciuta l’infermità mentale. Rtl, emittente televisiva tedesca, lo intervista in carcere. «La carne umana sa di maiale… ed è una bella sensazione sentire la vittima come parte di sé». Queste le parole del Cannibale di Rotenbug.
A tre anni di distanza, sui palchi di tutto il mondo, Till Lindemann, cantante e leader della band tedesca Rammstein, canta “Mein Teil”. Ovvero: la mia parte, il mio pezzo. Sul palco, davanti a migliaia di fan, è coperto di sangue. Ha un cappello da chef e un grembiule chiazzato di macchie e schizzi rossi. Il microfono è un coltello affilato. Lo sguardo e l’espressione sono folli e cruente. Till Lindemann è diventato per l’occasione il Maestro Macellaio, e “Mein Teil” è la canzone che parla delle gesta di Meiwes.
Per apprezzare fino in fondo la bellezza delle canzoni del gruppo tedesco, bisogna abbandonare i luoghi comuni. Le uscite superficiali dei media e le inutili polemiche da talk show mattutino. Quante volte avete sentito dire: «I Rammstein sono dei nazisti! Sono degli assassini: i ragazzi sentono la loro musica e fanno delle stragi!» e via dicendo? Parecchie volte. E va detto che i musicisti in questione non fanno nulla per respingere le polemiche: primo perché i fatti non sussistono, e secondo, perché è una magnifica pubblicità. È chiaro: una band industrial-metal non scrive di certo le solite canzoni d’amore. È elementare che l’impatto vocale del tedesco non sia dolce e melodico come l’inglese. Ma da qui a incolparli di questi crimini e peccati ce ne passa. Bisogna dire però che Till Lindemann è un personaggio estremo. Unico. Basta vedere le perfomance live per constatarlo: avvolto completamente nel fuoco, con un lanciafiamme in mano, o intento a battere forsennatamente con il pugno sulla gamba, a mimare il battito del fabbro. E su queste polemiche ci gioca, e pronuncia – con il suo timbro vocale caldo e profondo – le r e gli ach in maniera agghiacciante, ricordando le esclamazioni di un vecchio Führer della passata Germania. Va detto anche che se a livello musicale i Rammstein sono stati una miscela innovativa e magnifica di elettronica e metal, a livello testuale la cosa è più complessa.
Mr. Lindemann ha un dono particolare, forse ereditato dal padre poeta e dalla mamma scrittrice. Non si accontenta di domare, ipnotizzare e scatenare arene zeppe di persone. Vuole di più, e lo fa in maniera più velata e complessa. Scrivendo dei testi estremi, poetici quanto orrorifici, spiazzanti e sconcertanti.
Ora, di cosa – e soprattutto come – si può parlare in una canzone, è un discorso complesso e profondo che non affronteremo qui. Ma basta vedere come ogni grande autore e musicista abbia scelto di muoversi nelle tematiche più difficili e scottanti, per farsi un’idea. Till Lindemann è proprio questo: un grande autore. Andate oltre l’aspra e tagliente lingua tedesca. Andate oltre l’impatto sonico forsennato dei Rammstein. Ascoltate “Mutter” e vi struggerete nell’ascoltare il pianto di un bambino senza la mamma. Ascoltate “Ohne Dich” e capirete cosa vuol dire soffrire veramente d’amore. Ascoltate “Rosenrot” è capirete cosa vuol dire assimilare la lezione di Goethe. Arrivate alle parole, sentitele, vivete la storia che vogliono raccontare. E vedrete come crollano le falsità e le polemiche.
Essendo un estremista, Lindemann oscilla tra poli opposti per tematiche e contenuti. Dai temi profondi, maturi e complessi trattati, a quelli più indicibili e vietati. Svariati e delicati i tabù affrontati dal cantante nei dischi: dall’incesto di “Tier”, al sesso estremo e perverso di “Bück dich” e “Rein raus”, all’omosessualità di “Mann gegen Mann”, al deviato rapporto tra fratello e sorella “Spiel mit mir”. Con “Mein Teil” del 2004, presente in Reise, Reise, si arriva all’apice. Visivo e testuale.
Se nei primi due dischi Herzeleid e Sehnsucht i testi erano estremi, espliciti e forti come uno schiaffo, con Mutter le cose cambiano. Il linguaggio si fa simbolico, ricercato. Le figure retoriche aumentano, le vicende assumono un’atmosfera più lugubre e tenebrosa. Lindemann, autore anche di libri di poesia, affila l’arma compositiva. Forte del riscontro unanime della sua scrittura – ipercritica e censurata dai bigotti, ma osannata dagli addetti ai lavori più attenti e critici, non solo musicali ma anche letterari – cerca tematiche ed eventi sempre più sconcertanti. Il testo della canzone trattata in questo articolo ne è la prova.
Oggi incontrerò un signore
Che mi ama da morire
Pezzi morbidi e anche duri
sono sul menu
Perché sei ciò che mangi
e voi sapete cos’è questo
È la mia parte – no
La mia parte – no
Questa è la mia parte – no
La mia parte – no
La lama smussata buona e giusta
Sanguino abbondantemente e mi sento male
Devo anche combattere con la perdita di sensi
continuo a mangiare con i crampi
È davvero così ben aromatizzato
e cosí piacevolmente fatto flambé
e cosí amorevolmente servito su porcellana
Con un buon vino
e una delicata luce di candela
Si mi prendo del tempo
Ci deve essere qualche cultura
Perché sei ciò che mangi
e voi sapete cos’è questo
È la mia parte – no
La mia parte – no
questa qui è la mia parte – no
Si è la mia parte – no
Un grido salirà al cielo
Si taglierà attraverso schiere di angeli
Dalla cima delle nubi cade carne di piume
sulla mia infanzia con grida
È la mia parte – no
La mia parte – no
questa qui è la mia parte – no
La mia parte – no
Per non parlare del video: un’antologia folle, simbolica e visionaria di tutte le devianze e le perversione umane, incarnate da ogni membro del gruppo. Il videoclip inizia proprio con le parole dell’annuncio di Meiwes. Lindemann entra in scena con un volto sconvolto e un dilatatore orale piantato in bocca. La voce è alterata, folle e ha lo stesso effetto di un coltello di ghiaccio piantato sulla schiena.
Canzoni che non sono per tutti. I Rammstein, (forse, ormai solamente in Italia), sono ancora circondati dai luoghi comuni. Pochi hanno avuto la briga di andare fino in fondo. E capire che a prescindere dallo shock e dall’impatto violento, certe parole e certi fatti, se non trattati solo per sconvolgere gratuitamente e per sensazionalismo, sono linfa della poesia al pari dell’amore, la vita e la sua rivale. Lindemann e la band proseguono su questa magnifica via. Lo dimostra la traccia presente nel loro ultimo capolavoro Liebe ist für alle da, “Wiener Blut”. Il brano parla del caso Fritzl. Ma ciò richiede un’altra BioSong.
(“Mein Teil”, Reise, Reise, Motor Music Records, 2004)
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