“Il passato” di Asghar Farhadi
di Francesco Vannutelli / 22 novembre 2013
Primo film francese per il regista iraniano Asghar Farhadi, che con Il passato è sbarcato all’ultima edizione del Festival de Cannes conquistando il premio per la miglior interpretazione femminile per la protagonista Bérénice Bejo.
Ahmad arriva Sevran, sobborgo di Parigi, da Teheran per incontrare sua moglie Marie. Si sono separati quattro anni fa, ora lei gli ha chiesto di firmare le carte per il divorzio. Il loro rapporto è sereno, ma è chiaro che c’è qualcosa che deve essere chiarito, che Ahmad non è stato chiamato solo per delle firme. Marie vuole che dormi a casa sua, che la aiuti a capire costa stia succedendo con Lucie, la figlia sedicenne che ha avuto da un altro matrimonio. Nella casa, Ahmad capisce molte cose, come che Marie è impegnata e incinta di un altro uomo, Samir, che vive già da lei con il figlio Fouad. Si rivelano intrecci di gelosie e di verità tenute nascoste o camuffate, con Lucie che non vuole che la madre si costruisca una vita con un altro uomo, l’ennesimo, che teme Samir e quella ferita che lo paralizza per il fallito suicidio della moglie depressa ormai costretta in coma da otto mesi.
È una realtà da cui non si sfugge, Il passato, che costringe e condiziona il presente come eco invisibile di un rumore lontano. Samir, Ahmad e Marie si sono convinti di poter andare avanti senza più voltarsi indietro, di essere pronti a costruirsi un nuovo futuro che non tenga conto delle basi del tempo che è stato per la sua crescita. Non è possibile immaginare un domani se non si guarda quello che è successo ieri. È questo il senso della riflessione di Farhadi. I tre vertici del suo triangolo dipendono l’uno dall’altro per risolvere loro stessi in qualcosa di nuovo e per lasciare allo stesso tempo che Lucie e gli altri figli, Fouad e la piccola Lea, che Marie ha avuto da un’altra storia ancora, possano far parte di un nucleo finalmente definitivo, che non si debbano marginalizzare vivendo nella periferia dei sentimenti dei genitori
Samir porta indosso il dolore della depressione, prima ancora che del tentato suicidio della moglie, in cui Marie riconosce gli ultimi tempi della sua relazione con Ahmad, anche lui incapace di reagire alla vita e di uscire nel mondo. Ahmad è tornato in Iran per allontanarsi da lei e pensava di avercela fatta, ma fare ritorno in Francia gli fa capire che non è una firma su un pezzo di carta a determinare una fine.
Sono tutti irrisolti, i protagonisti di Il passato, incapaci di guardarsi alle spalle con serenità ma allo stesso tempo impreparati ad abbandonare la stretta della mano della memoria, come mostra l’ultima scena.
Farhadi riprende il tema della fine di un amore già proposto in Una separazione, Orso d’oro a Berlino nel 2011 e Oscar per il film straniero nel 2012. Rispetto al precedente, con Il passato Farhadi abbandona l’Iran e le dinamiche socio-interpersonali che l’ambientazione in patria comportava ed estende lo spettro dell’osservazione passando dalla sola coppia a un triangolo e a quanti ci girano intorno. Nel nuovo contesto europeo il regista e sceneggiatore conferma la capacità assoluta di rappresentare le sfumature più impercettibili delle psicologie dei suoi personaggi, le loro fragilità e le maschere con cui ognuno le adorna. Il premio all’interpretazione di Bérénice Bejo, imposta all’attenzione internazionale da The Artist, è un tributo parziale al cast, che si completa con Tahar Rahim e Ali Mosaffa, che vive sulla pelle, più che interpretarli, i ruoli.
La condizione difficile della realtà iraniana bloccata fino all’anno scorso dall’intransigenza di Mahmud Ahmadinejad, con cui Farhadi si è dovuto confrontare per le censure imposte ai suoi film, prima dell'elezione lo scorso agosto del moderato Hassan Rouhani, autorizza ad una lettura politica del film. Come i protagonisti del film, l’Iran deve conciliarsi con il suo passato sospeso tra innovazione e tradizione, tra laicità e religione, per aprirsi a un futuro nuovo.
(Il passato, di Asghar Farhadi, 2013, drammatico, 130’)
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