“Storia di Irene” di Erri De Luca
di Chiara Gulino / 6 gennaio 2014
«Le dico che scrivo storie e le vendo al mercato. Apro la valigia di commesso viaggiatore, mi metto a strillare i miei titoli buffi che nessuno ricorda e che chiamano l’attenzione per mezzo minuto. La nostra specie umana ha bisogno di storie per accompagnare il tempo e trattenerne un poco. Così io raccolgo storie, non le invento. Vado dietro la vita a spigolare, se è un campo, a racimolare, se è una vigna. Le storie sono un resto lasciato dal passaggio. Non sono aria ma sale, quello che resta dopo il sudore».
Erri De Luca è uno scrittore nutrito dagli elementi naturali. Figlio del Mediterraneo, questo grande e fecondo grembo materno che accoglie un centinaio di popoli, drizza le orecchie come le vele in ascolto di voci portate dal vento o dal profondo della memoria tramandata dagli avi (come Il cielo in una stanza, storia della fuga del padre Aldo dai bombardamenti del ’43 sull’isola di Capri), portatrice di un passato che sente comunque suo, offrendole come segno di gratitudine al mare nostrum.
Storia di Irene (Feltrinelli, 2013) è stata trasportata dal meltemi, racconta l’autore, un vento greco che parte dai Balcani e si incunea con tutta la sua violenza e impeto verso l’Egeo. È una storia di mare, come le altre due che compongono il libricino. È stata scritta, bagnata dallo scorso sole estivo, sulla spiaggia di una piccola e appartata isola greca, l’isola di Lipsi. È una storia nata a metri zero sul livello del mare che del mare si nutre. Il mare è quella barriera naturale, quel confine che protegge e minaccia, che dà e allo stesso tempo può togliere la vita.
Così è venuta Irene, una bambina di quattordici anni, incinta, orfana e cresciuta da undici delfini in mare. I paesani la schivano, la emarginano e l’additano non sapendo chi sia il padre del bambino che aspetta. La ragazzina serba questo segreto dietro un silenzio che dura sin dalla nascita. Irene ha deciso di raccontare la sua storia solo a lui, allo scrittore stesso o a una sorta di suo alter ego.
Il racconto non ha però l’andamento delle onde, non è poesia, ma ha il ritmo febbrile delle apparizioni, delle rivelazioni e la prosa lineare delle favole popolari.
Le storie di De Luca non sono portatrici di significati nascosti ma sono governate dalla metafisica delle cose, delle presenze tangibili e quotidiane. Le sue storie sono perfettamente quello che raccontano. Di queste storie De Luca è infettato, contaminato al punto da pensare di aver vissuto lui stesso quella determinata epoca, quella vicenda, quelle emozioni.
(Erri De Luca, Storia di Irene, Feltrinelli, 2013, pp. 112, euro 9)
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