“Robespierre Revolutionary Party”: a tu per tu con Robespierre Revolutionary Party

di / 17 febbraio 2014

Il suo primo EP, Robespierre Revolutionary Party, è uscito lo scorso aprile. Quattro brani per il giovane artista romano, una commistione di vecchio e nuovo cantautorato (De Gregori, Dente), dove attraverso semplici architetture si toccano zone grigie dell’essere. Gli aspetti che permeano maggiormente questo primo lavoro sono la consapevolezza e la credibilità, in particolar modo l’aspetto testuale, dove diversi strati di lettura e interpretazione (dall’abbandono, alla lontananza, alla passività) sono il mezzo per riprenderci tutto ciò che stavamo per perdere. Quattro brani che potremo ascoltare mercoledì 19 febbraio 2014 alla Flanerí Night al Contestaccio. Nel frattempo, abbiamo fatto qualche domanda a Robespierre Revolutionary Party.


Il tuo primo Ep, Robespierre Revolutionary Party, è uscito lo scorso aprile. Puoi parlarci di come è nato e cosa ti ha spinto concepirlo in questo modo?

L’EP non ha avuto una lunga gestazione, è stato piuttosto naturale. Prima di allora non avevo mai pubblicato qualcosa a mio nome, ma avevo sempre scritto canzoni. Ho deciso di pubblicarle perché, per la prima volta, sentivo di aver composto canzoni con una propria identità ed ero curioso di sapere gli altri cosa potessero pensarne.


Cosa c’è dietro la scelta del nome Robespierre Revolutionary Party?

Il cantautore è, tradizionalmente, molto più esposto rispetto a una band perché è sui testi che l’ascoltatore si focalizza. Per questo ho voluto scindere la mia vita privata dal mio essere cantautore ho ritenuto opportuno nascondermi dietro un moniker. Vorrei poter raccontare una storia avvincente sul perché ho scelto quel nome, ma l’ho dimenticata.


Cosa muove la costruzione dei tuoi testi?

Non conosco una formula esatta per scrivere una canzone e quindi lascio che il tutto avvenga in modo spontaneo. L’ispirazione per il testo può partire da una frase, da un libro o da una mia esperienza personale, ed è in questa fase che inizio a elaborarlo in contemporanea alla melodia e alla chitarra.


Le tue canzoni sono paragonabili a un cantautorato più o meno nuovo di questi anni (Dente, Alessandro Fiori, Colapesce, Dimartino). Chi sono oggi, in Italia, i punti di riferimento? Credi sia un tipo di espressione che di questi tempi possa veicolare dei messaggi universali oppure c’è una tendenza a rifugiarsi in un iper-individualismo?

Nonostante io sia legato a un cantautorato del passato, da Francesco De Gregori a Flavio Giurato, apprezzo alcuni degli artisti che hai citato. Quel che è certo è che tento di non farmi influenzare dai lavori contemporanei ai miei. Non credo che la missione di un cantautore sia quella di evangelizzare un pubblico. Personalmente tendo a voler ricercare, da ascoltatore prima che da autore, una componente intimista in questo genere musicale poiché credo che un cantautore abbia una predisposizione al raccontare la vita in modo poetico.


Una domanda che ha nelle sue risposte diverse interpretazioni e scuole di pensiero. La scelta della lingua. Molti cantanti scelgono di cantare in inglese, altri come te, scelgono l’italiano. Cosa ti spinge a scrivere nella tua lingua madre?

Hai già detto la mia risposta. Semplicemente l’italiano è la mia lingua madre. Questo mi permette di poter esprimere, nel miglior modo possibile, ciò che voglio comunicare.


Per finire una domanda classica: progetti futuri?

Registrare un nuovo disco, continuare a scrivere canzoni, fare concerti e far crescere la mia barba.

 

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