“Il Posto” di Annie Ernaux

di / 28 maggio 2014

«Da poco so che il romanzo è impossibile. Per riferire di una vita sottomessa alla necessità non ho il diritto di prendere il partito dell’arte, né di provare a far qualcosa di “appassionante” o “commovente”. Metterò assieme le parole, i gesti, i gusti di mio padre, i fatti di rilievo della sua vita, tutti i segni possibili di un’esistenza che ho condiviso anch’io. Nessuna poesia del ricordo, nessuna gongolante derisione. La scrittura piatta mi viene naturale, la stessa che utilizzavo un tempo scrivendo ai miei per dare notizie essenziali». Pubblicato in Francia nel 1983, vincitore del premio Renaudot nel 1984, arriva anche in Italia, con la traduzione di Lorenzo Flabbi, Il Posto (L’orma editore, 2014) di Annie Ernaux.

La perdita del genitore, la sofferenza per la distanza venutasi a creare durante la crescita tra la scrittrice e il padre, il primo legato ai dettami di un mondo operaio e la seconda in fuga da questo attraverso l’emancipazione fornitagli dallo studio. La decisione di raccontare la vita del proprio caro nella provincia francese del primo dopoguerra per esorcizzare i propri demoni e il senso di colpa. Elaborazione di un lutto attraverso la descrizione di un’epoca, di uno stile di vita. Romanzo breve che in realtà romanzo non è. Definibile piuttosto come una serie di instantanee che ci raccontano di un mondo lontanissimo eppure così vicino: una Francia in piena crescita dopo la seconda guerra mondiale, una famiglia umile che cerca l’avanzamento sociale passando dal lavoro in fabbrica all’apertura di una bottega, un padre orgogliosamente legato alle proprie origini e di indole assai modesta che «si sbarbava nel lavello della cucina, sorbiva rumorosamente la sua zuppa a colazione, sputava e starnutiva con piacere», una figlia che si sentiva aliena in questo piccolo universo.

Racconto autobiografico nel quale Ernaux mette a nudo il dolore e il “sentirsi sempre fuori posto” della propria famiglia attraverso una scrittura scarna, “piatta” ma allo stesso tempo solidissima, che riesce a trasportare il lettore direttamente in quel piccolo sobborgo francese, dove il non riuscire ad affrancarsi dal proprio status di famiglia umile diventa cruccio e stigma che influenzerà negativamente la vita dell’intero nucleo familiare. Non c’è orgoglio, rimpianto o nostalgia nelle parole dell’autrice: «Naturalmente, nessuna gioia di scrivere, in questa impresa in cui mi attengo più che posso a parole e frasi sentite davvero, talvolta sottolineandole con dei corsivi. Non per indicare al lettore un doppio senso e offrirgli così il piacere di una complicità, che respingo invece in tutte le forme che può prendere, nostalgia, patetismo o derisione. Semplicemente perché queste parole e frasi dicono i limiti e il colore del mondo in cui visse mio padre, in cui anch’io ho vissuto. E non si usava mai una parola per un’altra».

Una famiglia modesta in cerca del riscatto ma legata da un indissolubile filo alle sue abitudini contadine e operaie, una figlia completamente a disagio che lentamente smette di avere un dialogo con i suoi genitori e rifugge le proprie origini. In apparenza è questa la chiave di lettura del romanzo. In realtà Ernaux con quella che lei stessa definisce scrittura “autosociobiografica” compone un capolavoro dove storia, sociologia e letteratura si intersecano. Un libro che “parla a tutti noi di tutti noi”.


(Annie Ernaux, Il posto, trad. di Lorenzo Flabbi, L’orma editore, 2014, pp. 120, euro 10)

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