“L’ultima profezia del mondo degli uomini” di Silvana De Mari

di / 28 marzo 2012

L’ultima profezia del mondo degli uomini (Fanucci, 2010) è anzitutto il capitolo conclusivo di una saga fantasy che comprende anche L’ultimo orco, L’ultimo elfo e Gli ultimi incantesimi, scritto davvero bene da Silvana De Mari e a cui fa da prequel Io mi chiamo Yorsh, l’ultimo romanzo dell’autrice, uscito in libreria da qualche mese.

Volendo tentare di riassumere questo romanzo in una sola parola (impresa non poco ardua viste le 606 pagine che lo compongono), “movimento” è quella che sceglieremmo. Tanto per essere più chiari: L’ultima profezia del mondo degli uomini è un libro che si sostanzia nel e del movimento, a partire già dalla copertina su cui campeggia quella che a prima vista sembra una trottola, e dunque qualcosa che ha senso solo se gira ma anche una figura che dà la percezione/illusione del movimento se la si fissa a lungo, sebbene nella realtà sia ferma. C’è, in questa storia, abbondante e strabordante movimento di esseri umani anzitutto, inquieti, allarmati, frettolosi, che cercano se stessi o la propria salvezza ma anche la salvezza altrui, in un continuo frenetico spostamento da un luogo all’altro (e qui spontaneo è il rimando ad alcune descrizioni davvero ben riuscite); c’è gran copia di sentimenti e stati d’animo: la rabbia, l’odio incondizionato, il dolore, il coraggio, la grandezza interiore, sentimenti così forti e profondi da essere trasmessi anche attraverso la flebile fiammella di una candela in una trasfusione di forza e dolcezza insieme; c’è, infine, il movimento particolare ma essenziale, in questa grande storia fatta di cose e situazioni che cambiano, degli animi che dal mondo dei morti e della distruzione senza senso cercano di trovare la via della luce, della giustizia e della pace.

Protagonista è il re Rankstrail, uomo mezzo orco e viceversa, il re “bastardo” degli Uomini che dopo aver combattuto mille battaglie contro gli Orchi cade in mano nemica e scopre di dover vivere così la sua lunga e dolorosa rinascita. Lui, re, imperatore e generale che ineluttabilmente dovrà trascinare con sé in questa sorta di palingenesi le vite di tutti gli altri, così da non lasciare indietro nessuno, neanche gli Orchi. Attorno a Rankstrail si muove uno sciame gremito ed estremamente colorato di personaggi dei quali colpisce la completezza e la maturità: c’è Chiara, figlia quasi orfana del re e della principessa Elfo Aurora, morta nel concepirla, una sorta di piccolo miracolo nel quale si racchiude tutta la forza del padre e la profonda saggezza della madre; c’è il soldato semplice Skardrail (esilarante il suo dialogo con la Regina Rosa Alba), incaricato di ritrovare il sovrano disperso, all’apparenza un goffo ma temerario soldatino semi-orco che si rivelerà invece pedina fondamentale della vicenda – sarà lui infatti a condurre, attraverso il sacrificio della sua stessa vita, il Re verso il suo destino; c’è poi Rosa Alba, la Regina Strega, sua figlia Erbrow, il genero non voluto senza nome, i fratellastri Gioscua e Antrin, il Principe Arduin e molti altri, in una storia avvincente dove, come in una pellicola, a visioni di magnifici e regali palazzi seguono le descrizioni degli angoli bui e umidi di una rumorosa suburra.

Certamente una storia avvincente, come abbiamo già scritto, e ben architettata, laddove ciò che stupisce in opere del genere è indubbiamente la capacità d’inventiva dell’autore ma anche quella di far “quadrare” poi le cose senza mai abbassare il tono della narrazione o lasciarsi andare a incongruenze e imprecisioni.

Ci ha colpito particolarmente una caratteristica di questo libro nel quale, a differenza della gran parte dei testi cosiddetti fantasy in cui sempre si assiste allo scontro più o meno velato fra bene e male, sembra non avere più senso questa dicotomia, o meglio, la storia termina con lo svuotamento di senso di quella dualità: la De Mari ci racconta di un mondo che trova finalmente il suo equilibrio, benché a costo di grandi sacrifici, quando si comprende che a ciascuno è già toccata la sua buona dose di sofferenza e buio, e che, dunque, non c’è forma di vita che non possa prima o poi andare serenamente incontro alla propria redenzione, che non abbia il diritto sacrosanto prima o poi di vivere la propria felicità. È semplicemente così: la salvezza è per tutti, nessuno escluso, laddove ognuno ha già avuto la sua parte di dolore.

Umanità profonda, magia, valori forti, una religiosità e un senso del sacro che commuovono uniti a costanti riferimenti escatologici resi in due diverse immagini, guarda caso figure in movimento: un cerchio che inscrive un quadrato che a sua volta inscrive un cerchio e così via e una spirale aurea dove a ogni giro la distanza tra le spire raddoppia, simboli rispettivamente orco ed elfico dell’Infinito. Sono questi alcuni degli ingredienti che fanno di una successione di fotogrammi comparsi nella fantasia della De Mari una storia di quelle che ci piacerebbe leggere davanti a un camino, in una buia e fredda notte invernale.


(Silvana De Mari, L’ultima profezia del mondo degli uomini, Fanucci, 2010, pp. 608, euro 20)

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