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Conversazione con Francesca Chirico, autrice di “Arrovescio”
di Diego Rossi / 8 aprile
Francesca Chirico è nata a Reggio Calabria. Specializzata in cronaca nera, collabora con “Narcomafie”, mensile di approfondimento del gruppo Abele; è tra i redattori dell’archivio multimediale www.stopndrangheta.it per il quale ha curato, tra l’altro, la pubblicazione nel febbraio 2010 di “Arance insanguinate – Dossier Rosarno”. “Arrovescio” è il suo primo romanzo ed ha vinto il Premio Nazionale per opere inedite – Parole nel vento 2010.
Badolato è piccola, ma l’azione dei Badolatesi è stata grande, il libro va anche letto come un invito appassionato al recupero delle proprie radici e all’attenzione al particolare. Era questo il tuo obiettivo?
A creare o condizionare ciò che vedi non è la dimensione della finestra, ma lo sguardo. Certo, Badolato è un piccolo paese di provincia, nel cuore della regione più misteriosa d’Italia. Le sue finestre si affacciano su vicoli muti e campagne, le grandi decisioni si assumono in un altrove lontano che laggiù si riverbera solo come minaccia. Oggi come nel 1950. Ma non sono mai state le dimensioni dei confini comunali o la latitudine a produrre o impedire automaticamente le grandi epopee umane. I duecento straccioni badolatesi che il 13 ottobre 1950 ci hanno creduto rappresentano un pezzo pregiato di memoria collettiva non solo calabrese: ci raccontano qualcosa di quello che siamo stati capaci di essere e fare e, nel contempo, ci interrogano profondamente su quello che siamo diventati e stiamo facendo.
La sensazione è che molte cose vadano "arrovescio" ma che non sempre ci siano "Badolatesi" coraggiosi pronti a raddrizzarle, è davvero così?
Non del tutto. Cedere al pessimismo o alla nostalgia ci impedirebbe di riconoscere come tali i tanti costruttori di strade in salita che ci circondano. Si tratta di una condizione inevitabile. La voglia di sparigliare, rovesciando un destino apparentemente immutabile, è una parte insopprimibile della natura umana. A mancare, oggi, non è il coraggio, e neppure la fantasia. E’ semplicemente più difficile individuare la strada da costruire: lo scenario, diventato via via più complesso, non prevede risposte semplici. Nel 1950 le responsabilità erano nettamente definite e chiaramente incarnate: ai desideri degli uni, si opponeva la resistenza degli altri. Decidere da che parte stare, individuare “il diritto che diritto non è” era solo questione di dignità e coraggio. Oggi, per prima cosa, tra globalizzazione, leggi di mercato, nuovo “ordine” mondiale, tocca capire che faccia abbia “il nemico”.
“Arrovescio”mi ha ricordato il bellissimo film di Christopher Monger ("THE ENGLISHMAN WHO WENT UP A HILL BUT CAME DOWN A MOUNTAIN") in cui si racconta di come due cartografi, giunti in un fiero villaggio gallese, Ffynnon Garw, si accingano a misurare la montagna che oltre a dare il nome al villaggio, rappresenta orgoglio e vanto degli eccentrici cittadini. Dalle misurazioni risulta che mancano circa sei metri di altezza per definire la loro una vera montagna. Gli abitanti del luogo accolgono con costernazione la notizia che il villaggio non comparirà più nelle mappe governative ufficiali. Decidono così di unirsi e di "alzare la collina" aggiungendovi la terra dei loro campi, per far sì che l'amato cocuzzolo riacquisti il posto che gli spetta di diritto nella storia. Accadrà che un cartografo inglese, salito su una collina, discenderà alla fine da una montagna. Tra le pagine di “Arrovescio” si percepisce lo stesso desiderio di far diventare grandi le cose piccole, alte le aspirazioni. Per Christopher Monger l’ispirazione si rafforza attraverso il richiamo di solide radici etno-geografiche, tramandate nei racconti orali, e su questa precisa identità culturale si costruisce la loro singolarità artistica, vale lo stesso per Francesca Chirico? Quanto i sapori della tua terra e le sue storie influenzano la sua originalità artistica?
Non sono una scrittrice calabrese, ma una calabrese che fa la scrittrice. Mi spiego meglio. Il legame viscerale con la mia terra, con i suoi colori e la sua disperata magnificenza ha profondamente condizionato quello che sono, indirizzando scelte personali e lavorative. La calabresità è, insomma, una dimensione che mi riguarda come persona e che interviene a monte dell’atto creativo. Dopo, però, c’è innanzitutto la “contastorie”. Non ho scelto di raccontare dello sciopero a rovescio di Badolato perché sono calabrese. L’ho fatto perché non so resistere ad una bella storia.
"Arrovescio" presenta un’immagine bellissima della Calabria caparbia e fiera. La speranza di "arrovesciare" il mondo passa anche attraverso libri come questo. Quali sono state le tue sensazioni intervistando i bambini di allora e che hanno vissuto in prima persona questa avventura? Cosa pensi che consiglierebbero ai giovani di oggi?
Le mie sensazioni? Direi la commozione e il senso di privilegio che si provano a managgiare qualcosa di prezioso, qualcosa che ti è stato consegnato perché ci si fida di te. Sono stati lunghi pomeriggi di ascolto, tra foto d’epoca sui tavoli e nomi e nomi snocciolati perché nessuno fosse dimenticato. Sul messaggio ai giovani non ho bisogno di immaginarlo: la bambina che raccoglieva grano e fagioli ha parlato chiaro qualche giorno fa, durante la presentazione di “Arrovescio” a Badolato. Certo, oggi ha qualche anno in più sulle spalle, ma la testa è sempre dura come un tempo. “Non rendete inutile il nostro sacrificio – ha detto – perché la dignità è la cosa più importante di tutte”.