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L’epica del quotidiano e l’invettiva giambica
di Francesco Principato / 28 maggio
L'attività di Archiloco si distacca nettamente da quella dell'aedo omerico che opera nell'ambito di una corte regale, ottenendone protezione e sostentamento, così come si differenzia dall'attività del rapsodo itinerante che trae il suo guadagno dai vari uditori.
Archiloco fece della poesia lo strumento di rappresentazione e illustrazione della realtà cui partecipò come protagonista.
Oggetto di questo nuovo epos non sono le guerre mitiche di un lontano passato, ma gli scontri armati con le popolazioni indigene, soprattutto tracie.
Alcuni frammenti con le loro allusioni a fatti specifici o a momenti della quotidianità, hanno quasi la cadenza di un diario di guerra, che registra anche gli aspetti occasionali e non sempre eroici della vita militare. Ci sono notazioni talora burlesche nelle quali si esplica la vocazione serio-comica del poeta.
Archiloco fu ricordato soprattutto come capostipite della poesia giambica.
Già il filosofo Aristotele diceva nella Poetica (Poet. 1448b): "Di nessuno, anteriore a Omero, abbiamo da citare un'opera del genere, benchè sia naturale che ce ne fossero molti; e c'è a cominciare da lui, per esempio il Margite di Omero e le altre simili composizioni, in cui s'introdusse anche il metro giambico secondo la migliore convenienza: ancor oggi si chiama giambico questo metro, perchè in esso si lanciavano giambi a vicenda. Così, fra gli antichi, gli uni divennero poeti di carmi eroici, gli altri di giambi. Ma Omero, come fu artefice soprattutto di soggetti nobili, e basta aggiungere che compose i racconti non solo bene ma anche nel modo drammatico, così fu anche il primo a suggerire le strutture della commedia, quando in maniera drammatica rappresentò il ridicolo, e non produsse invettive; quindi come l'Iliade e l'Odissea stanno in rapporto alle tragedie, così il Margite si presenta nel medesimo rapporto con le commedie"(traduzione C.Gallavotti).
Questa divisione fatta da Aristotele offre un criterio fondamentale nello studio della cultura greca fin dal periodo arcaico.
Archiloco è senza dubbio il primo a mettere la polemica mordace e ostile, l'oscenità e la trivialità in versi giambici. La forma metrica tipica, ma non esclusiva della poesia del biasimo e dello scherno è il giambo ( ∪ − ), termine che indica sia il metro che ha per base l'omonimo piede, sia il genere poetico stesso.
In effetti però bisogna constatare che la più antica testimonianza di poesia giambica a noi pervenuta è la cosiddetta "Coppa di Nestore", proveniente da Ischia e databile alla seconda metà dell'VIII secolo a.C., che presenta un'iscrizione polimetrica (un trimetro giambico un po' anomalo e due esametri dattilici) e non c'è dubbio che il suo contenuto sia di natura parodica o, quanto meno, giocosa. Anche il Margite, attribuito dalla tradizione ad Omero, intercalava irregolarmente agli esametri un trimetro giambico e a detta di Aristotele è il prototipo dello giambìzein archilocheo e ipponatteo e anche della commedia.
È bene qui ricordare il fatto che il giambo è senza dubbio il metro più usato nell'invettiva, ma al contempo non esaurisce la gamma delle possibilità metrico-ritmiche dello psógos e del genere serio-comico; gli stessi contenuti sono reperibili anche in contesti elegiaci ed esametrici, come nei Silloi di Senofane e nei carmi di Democrito di Chio, nonchè nei metri propri della poesia monodica.
Come già detto Archiloco è il primo poeta di composizioni giambiche vere e proprie di cui ci è rimasta memoria, ma già prima di lui laforma giambica era sentita e ne abbiamo attestazioni appunto in Omero e per la precisione nel secondo libro dell'Iliade, nel celebre episodio di Tersite (Iliade II 211-270). Tersite guerriero acheo, famoso per la sua bruttezza e la sua codardia, è l'esempio dell'antieroe.
Quando Agamennone volle mettere alla prova i suoi uomini, inventando la storia secondo la quale ormai si erano perse le speranze di conquistare Troia, Tersite fu il primo a incitare i compagni ad andar via, venendo però ferocemente interdetto da Odisseo che, con un colpo di scettro, lo fece zittire. Di fronte a quelle percosse nemmeno uno come Tersite riuscì più a ribattere.
L'episodio in sè e per sè è un esempio di invettiva giambica: già in Omero l’epica poteva essere rapperesentata in forma giambica. Lo stesso Tersite rimproverato e battuto con una verga da Odisseo a sua volta provoca l'ironia dell'ascoltatore (lettore) verso gli aristocratici dei quali Odisseo fa parte.
Successivamente, protagonista di un episodio giambico è Aiace Oileo, il quale durante la corsa a piedi dei giochi funebri in onore di Patroclo, scivola goffamente sullo sterco dei buoi riempiendosene la bocca e il naso (Il. 23, 754-784).
Nell'VIII libro dell'Odissea l'aedo Demodoco per allietare Odisseo racconta un altro episodio concettualmernte giambico: l'episodio dell'adulterio tra Ares e Afrodite ai danni di Efesto (Odissea VIII 266-332). Ares e Afrodite si uniscono nel letto di Efesto, ma quest'ultimo organizza una trappola per coglierli in flagrante. Efesto infatti fabbrica catene infrangibili da adattare come ragnatele al talamo, finge di partire per Lemno, offrendo così un'occasione propizia agli amanti fraudolenti. Questi, appena si stendono sul giaciglio, rimangono preda della macchinosa trappola. Una volta catturati giungono gli altri dei per guardare e tutti si mettono a ridere dopo aver visto la scena assai comica (èrga gelastà). Efesto volendo mettere alla berlina la sua sposa e il suo amante, fa ridere di sè (gèlos).
In conclusione, dopo aver analizzato questi passi, comprendiamo meglio come l’invettiva giambica, la quale secondo la critica è una creazione Archilochea, fosse già appartenente alla tradizione precedente, della quale fanno parte Omero, la coppa di Nestore e il Margite, utilizzando altri metri diversi dal giambo senza caratterizzare queste stesse opere come propriamente giambiche.