Libri
33 salti nella storia
di Fernando Bassoli / 29 giugno
Tradizioni, aneddoti e cultura della provincia di Latina: questa la sostanza di un’antologia che riunisce ben 33 racconti di 28 diversi scrittori locali. “Leggendo i racconti di questa antologia, ci si chiede cosa possano avere in comune narrazioni ambientate in epoche differenti, scritte con stili eterogenei da autori di diversa provenienza culturale, se si esclude, ovviamente, la mera e semplicistica ubicazione geografica – scrive in prefazione Roberta Sciarretta, italianista -. In realtà, l’unica chiave di interpretazione non può che essere la ricerca di un’identità…”. Ma forse c’è dell’altro: la voglia di raccontare e raccontarsi tout court, magari attraverso le classiche storie orali ricevute in eredità dai parenti. Nella città di Latina, già Littoria, questa voglia è prepotentemente esplosa negli ultimi dieci anni, culminando nella nascita di alcune case editrici locali, nel fiorire di Fiere del libro e affini, fino all’apertura dell’unica libreria “Feltrinelli” non romana dell’intera Regione. Senza dimenticare, ovviamente, la storica vittoria di Antonio Pennacchi, che si è aggiudicato il Premio Strega 2010 con il romanzo “Canale Mussolini” edito da Mondadori. A Latina va di moda la narrativa. E perfino la poesia va pian piano ritagliandosi degli spazi, grazie all’impegno di qualche tenace operatore culturale.
Bassiano. Pamela Mironti ha l’onore di aprire “33 salti nella storia” con “L’Eremo”. Nativa di Sezze, nel 1997 ha vinto il “Campiello Giovani – Lazio”. Narra le vicende di alcuni Templari fuggiti da Valvisciolo nel 1300, che trovarono rifugio a Bassiano. La Mironti racconta anche fatti relativi alla località Santi Cosma e Damiano in “Pasqua d’insurrezione” e conferma così di possedere un’attitudine per questo genere non facile, dato che richiede uno scrupoloso lavoro di documentazione e l’accettazione del rischio di risultare un po’ noiosi.
Campodimele. Filomena Cecere (“Stauròs”) ha ideato uno stile fantasy estremamente personale, che merita interesse, utilizzando un linguaggio volutamente ricercato, che contribuisce non poco a creare le giuste suggestioni nell’ambito di descrizioni in bilico tra il magico-religioso e il surrealismo. L’autrice pubblica anche “Il pianto dei rei” per raccontare Roccasecca dei Volsci e in particolare il Castrum Sanctae Crucis, luogo dove sorgeva una torretta d’avvistamento in epoca romana, confermando così, pare di capire, la sua passione per la storia.
Castelforte. Evelina La Starza racconta la storia di Ernest Foster. Durante la Seconda Guerra mondiale, questo giovane soldato inglese salvò un bimbo di soli 14 mesi di nome Alessandro Lefano, che a distanza di anni ha raccontato la sua vicenda all’autrice. Foster era impegnato nelle operazioni messe in campo dagli alleati per superare la cosiddetta Linea Gustav e liberare Suio e Castelforte. Tra un colpo di cannone e l’altro, ci sta bene questo gesto di umanità verso un bambino inerme, vittima delle insane logiche belliche e, più in generale, di quegli adulti che pure avrebbero dovuto proteggerlo.
Formia. La giornalista Memi Marzano (“Il rubino più prezioso”) esplora le molteplici possibilità narrative derivanti dal fenomeno dell’immigrazione via mare – meglio: via barcone, con tutti i rischi che questo comporta, compreso quello di non arrivare a destinazione – con un racconto suggestivo e ben congegnato, dall’inquietante incipit, ma forse sviluppato in modo troppo sintetico, attraverso una scrittura a tratti nervosa. Inevitabili e ricche le riflessioni sulle difficoltà di dialogo tra diverse culture, tra figli di mondi lontani che, a un certo punto della loro storia personale, hanno dovuto giocoforza trovare pericolosi punti d’incontro e compromessi, nel tentativo disperato di costruirsi, inventandoselo, un futuro migliore. Che naturalmente sta sempre qualche chilometro più in là…
Gaeta. Roberto Tartaglia, velletrano di nascita, presenta “999, qui sta la sapienza” immaginando un dialogo tra Papa Pio IX, ospite dei Borbone nel 1848, e colui che sarebbe diventato Papa Leone XIII. I due, maestro e discepolo, discutono del futuro della Chiesa. Il racconto si fa apprezzare anche per la calibrata misura della scrittura di Tartaglia, che dice il giusto senza mai strafare. Non per nulla è l’ideatore di “La coscienza di Jano” (http://lacoscienzadijano.org): un sito totalmente dedicato alla psicologia e alla sociologia della comunicazione.
Monte San Biagio. Gian Luca Campagna (“Terra di nessuno”) ricorda, usando un linguaggio tra l’ironico e il divertito, la figura del brigante Chiavone: nel 1861 mise a ferro e fuoco Ponticelli, che diventerà poi Monte San Biagio. Solo un reggimento di granatieri di Sardegna riuscì a riportare l’ordine. Da notare che Campagna è l’inventore del Premio letterario “Giallolatino”, che porta nel capoluogo pontino autori affermati da tutta Italia.
San Felice Circeo. Elettra Ortu La Barbera ha scritto (bene, chiara ed efficace) “Il tesoro mai trovato”. L’autrice, che fa il medico ospedaliero, rinnova con questo racconto il legame esistente tra la terra pontina e l’Ordine dei Templari. Già dal 1211 una bolla di Papa Innocenzo III testimonia l’assegnazione dei Templari al territorio del lago di Paola e precisamente al Monastero di Santa Maria della Sorresca. Nel 1240, però, i monaci guerrieri si stabilirono nel castrum di San Felice Circeo. Resta però una leggenda: quella del tesoro nascosto nel promontorio, che non è mai stato trovato… E se esistesse davvero?
Mauro Cascio (“L’ultimo viaggio di Ulisse”) presenta una sorta di narrazione sperimentale: una non-storia, una dichiarazione d’intenti letterari che, pur muovendo da nobili ideali, evapora lieve riga dopo riga, danzando su qualche felice intuizione più o meno filosofica.
L'opera può essere letta, a ben guardare, come una metafora della condizione di scrittore. Chi più di uno scrittore-filosofo, può definirsi Ulisse, nell’epoca del materialismo cosmico digitale postmoderno? Chi più di uno scrittore-filosofo, può lavorare divorato da eterni dubbi e amletici tormenti, che pongono lo stesso atto di scrivere in continua discussione?
Sermoneta. Marco Ferrara (“Una struggente storia di guerre, d’amore e malaria”) narra una vicenda (romanzata?) ambientata durante il tentativo di bonifica dell’Agro pontino di fine 1700, era Papa Pio VI, che vede per protagonista il Comandante della Compagnia dei soldati bianchi e Turchini, tale Giacomo Viani. Il suo linguaggio è a tratti raffinato e lascia intuire le potenzialità espressive di tale interessante autore.
Itri. Alessio Papacchioli (“Il est revenu” cioè “Lui è tornato”) narra di fatti accaduti dopo la morte di Fra’ Diavolo, una sorta di ambiguo eroe/bandito, che venne impiccato dai francesi. La storia poggia il suo baricentro sulla presenza dei soldati transalpini a Itri e si giova di alcuni nomi ed espressioni dialettali prese in prestito da Romano da Itri: aggiungono non poco colore ai personaggi proposti, che forse andavano caratterizzati ulteriormente. Anche più interessante risulta il racconto dedicato a Pontinia (“La condanna del regime”) basato su uno scritto apparso su “Gente” – a firma di Enrico Mattei – che riferiva di un giornalista spedito a Pontinia dal direttore di una Testata di Denver per toccare con mano, attraverso interviste sul campo, se la popolarità di Mussolini fosse reale o solo frutto della sapiente abilità manipolatoria della macchina propagandistica del Regime Fascista.
Fabio Pannozzo, medico epidemiologico, ci parla di Lenola, paese con una caratteristica peculiare: si trovava in una posizione di confine tra Stato Pontificio e Regno borbonico, ma anche, dopo il 1861, tra Stato Vaticano e Regno d’Italia. Nel racconto pubblicato (“L’unità d’Italia ai confini del Regno”) un medico e un leguleo si muovono in un territorio dagli equilibri sociopolitici labili e continuamente in discussione, tra le classiche spinte e controspinte della Storia e dell’Economia, più o meno evidenti, che hanno finito per fare dell’Italia il Paese dove nulla è impossibile e dove niente riesce più a stupirci.
Maenza. Felice Cipriani (“Iolanda”) narra la storia di… sua madre. Tra comari e somari, ci riporta alla durissima esperienza del conflitto bellico, che torna spesso a tormentarci, con testimonianze da incubo, sia nei libri di narrativa che nei saggi giornalistici, per l’impatto devastante che essa ebbe sul Paese e per le profonde ferite, mai del tutto rimarginate, che ancora oggi caratterizzano la coscienza collettiva di un popolo.
Di Minturno si è occupato Amedeo Pro (“L’ultima stoccata”). L’autore è laureato in lingue orientali e si è ispirato, pare di capire, alla figura di Antonio Cesare Prospero Romano, un nome che è tutto un programma, rimasto nella storia dello sport italiano per essere stato il primo atleta ad aggiudicarsi l’oro nella scherma, specialità sciabola, alle Olimpiadi di Parigi del 1900. Non un merito da poco.
Latina. Fabio Mundadori (“L’eterno presente”) riscrive, a suo modo, la vicenda della fondazione di Littoria e coglie così l’occasione per ricordare ai lettori un’importante verità storica: Benito Mussolini si mostrò contrario alla nascita di una città nuova. Di più: ordinò il silenzio stampa (leggasi censura, tipica della dittatura del ventennio, che qualche povero fesso rimpiange), vietando la celebrazione di qualsiasi cerimonia. Il Presidente Valentino Orsolino Cencelli – e cioè il Presidente dell’Opera Nazionale Combattenti – tirò fuori tutta la sua personalità e voglia di ragionare con la propria testa. Andò avanti per la sua strada. E fu proprio da questo fiero gesto di affermazione di una libera e singola volontà, che è nata la città poi destinata a chiamarsi Latina. Un episodio che dimostra quanto fuorvianti possano essere certi libri di storia. Littoria, città di Fondazione fiore all’occhiello del Duce, fu in realtà inventata, letteralmente inventata da Cencelli. Personalmente ho trovato semigeniali alcune trovate di Mundadori, che in questo libro racconta anche Sonnino (“Tabula rasa”), paese dove nel 1800 imperversavano i briganti…
Serafino Ettore Manias (“Gli angeli di Ponza”) ha tratto invece ispirazione dalla vicenda dell’affondamento del piroscafo Santa Lucia, bersaglio dei colpi degli aerei britannici. I piloti dei velivoli erano erroneamente convinti che sull’imbarcazione si trovasse addirittura Mussolini in persona… Il resto della storia è poi inventato…
Rocca Massima. Lucia Viglianti, con “Ave Maris Stella”, propone al lettore una storia di fantasia che dà però risalto alla Rassegna organistica, un evento internazionale di alto profilo che attira musicisti da ogni parte del mondo. L’autrice, che è nota anche come attrice e regista teatrale, ha modo e voglia di parlarci anche di Sezze (“Viva l’Italia”, dedicata a nonna Angelina), città sempre estremamente vivace sotto il profilo culturale.
Roccagorga ci è raccontata da Eros Ciotti, architetto, con “Epifania di sangue”. Nel 1913 i contadini locali invocavano giustizia, libertà e soprattutto… pane. Una manifestazione di protesta finì però nel sangue, perché l’esercito aprì il fuoco sui dimostranti, uccidendo ben sette persone. L’episodio può sembrare lontano, ma a ben guardare è di estrema attualità, dato che sotto il profilo del diritto del lavoro e sindacale questo Paese ha troppe ferite ancora aperte e troppe lacune normative e culturali da colmare.
Cori. Pietro Vitelli (“Marco e Lisetta”) ha scritto una storia vera e inventata allo stesso tempo, perché i personaggi sono di fantasia, ma i fatti narrati veritieri e relativi a una Cori che non c’è più: quella degli anni ’40 e, più nel dettaglio, del durissimo bombardamento del 30 gennaio 1944. Struggente il momento del ritorno in patria di Marco, dopo decenni da emigrato in America. Vitelli è stato sindaco della città e infatti dimostra di conoscere a fondo la sua storia. È autore, tra l’altro, di un dizionario corese-italiano…
Norma. Michele De Luca è autore che procede per periodi brevi ma intensi. Nel suo “I figli di Norma” dà vita a una narrazione piena di buoni sentimenti, a cominciare dalle dediche familiari che precedono il racconto. Il protagonista rivede la propria infanzia osservando i bambini che giocano in piazza, ancora non consapevoli delle durezze della vita e comunque ben al riparo dai pericoli corsi da quanti, molti anni prima, vissero l’incubo della guerra, rischiando la vita sia da militari che da civili. Anche sotto la pressione psicologica dell’incombere del nemico, sono però possibili gesti di solidarietà, perché l’amore per il prossimo – sembra essere questo il messaggio – può essere coltivato anche nelle situazioni più a rischio.
Sabaudia. Maria De Paolis cita Hemingway (“Il vecchio e il mare”) ma ci parla di Alberto Moravia, del quale ricorda il profondo legame con le spiagge e le atmosfere metafisiche della deliziosa Sabaudia. I capricci di un aquilone – o il disegno del destino? – portano una ragazzina a incontrare lo scrittore in carne ed ossa, nella sua villa. Solo in seguito, una volta cresciuta, la protagonista capirà lo spessore letterario e intellettuale di un autore che ha lasciato tracce significative nella storia della letteratura italiana. La giovane donna rimpiangerà di non avere avuto il coraggio di chiedere un autografo. Un’immagine struggente, che rimanda ai molti rimpianti per le occasioni perdute che non sappiamo cogliere, tutti, nel corso della vita (rileggere “I giorni perduti” di Buzzati, please). Perché solo invecchiando si coglie in pieno il senso del “Carpe diem!” latino. La letteratura è anche questo: universalizzare le esperienze-emozioni dei singoli.
Sperlonga. Michela Iazzetta, un romanzo inedito nel cassetto, perché ancora incompiuto, è una delle molte persone che, da turista, ha subito il fascino della cosiddetta “Perla del Tirreno”. Ben prima di lei, gli antichi Romani si erano insediati qui alla fine dell’età repubblicana, per realizzare sontuose residenze che ancora oggi testimoniano la grandezza dell’Impero, ma anche la loro simpatia per il cosiddetto otium culturale.
Spigno Saturnia. Giuseppe Mallozzi (“La ballata della janara”) cronista del Quotidiano “La Provincia”, ha ripreso e rielaborato una sorta di leggenda metropolitana, quella della presunta esistenza della cosiddette janare, cioè le streghe, solite riunirsi per celebrare i loro misteriosi riti, magari dopo avere rapito qualche bambino. Ne è uscito fuori un breve racconto noir col tipico finale a sorpresa: un colpo di scena che porta a riflettere e a domandarsi se certe dicerie non fossero messe in giro ad arte, per coprire i veri responsabili di certe brutalità. A giudicare da quanto abbiamo letto sui giornali negli ultimi anni, l’ipotesi appare tanto inquietante quanto verosimile.
Priverno. Rinalda Antonetti, è una dipendente del Ministero dell’Interno con la passione della scrittura. Sedotta dal fascino e dal mistero dell’Abbazia di Fossanova, guida il lettore verso un viaggio nel passato che conduce all’epoca medievale, narrando dal punto di vista di un novizio a colloquio con San Tommaso. Come può intuirsi, il compito non è facile da svolgere, ma l’autrice supera la prova.
Prossedi. Raoul De Michelis (“Memorie di una guardia”) ha realizzato alcune ricerche storiche sul piccolo Paese lepino. La sua storia è ambientata in una giornata precisa, quella della visita papale del 23 maggio 1727, come riportata dalle cronache giornalistiche dell’epoca. L’evento fu possibile grazie alla decisiva mediazione del Marchese Livio de Carolis.
Terracina. Cinzia Volpe, autrice che nasce come appassionata di fotografia, cura una rubrica sul blog http://www.iduridellapalude.com. Ambienta “La grande morte” nell’anno 1347, alla vigilia dell’epidemia di peste portata in città dai marinai genovesi dalla Crimea, che all’epoca era una colonia ligure. La popolazione terracinese ne uscì decimata… Questo racconto ha il merito di riproporre fatti evidentemente poco conosciuti.
Fondi. Enzo Di Girolamo (“La città perduta”) trae spunto dalla storia della città di Amyclae, esistita molti secoli prima di Cristo, tra Terracina e Fondi. Secondo la leggenda, fu devastata da un’invasione di serpenti, dato che gli abitanti erano seguaci della dottrina della metempsicosi e dunque non uccidevano le vipere velenose presenti nell’area. Il male, insomma, spasso si nasconde non tanto nel pregiudizio quanto nella mancanza di buon senso.
Aprilia. Gianfranco Compagno, fondatore dell’Assostampa pontina, ha il merito di raccontare una delle storie più delicate di questo volume (titolo “Da Guerneville un aiuto inatteso”), quella di Margherite Wildenhain, di Pond Farm, in California, che dopo il secondo conflitto bellico inviava vestiti e dolci per i bambini rientrati in città dopo lo sfollamento. Una bella storia di amicizia disinteressata e solidarietà che fa riflettere, una storia di altri tempi.
Cisterna. Mauro Nasi, last but not least, firma uno dei racconti più suggestivi: “La grande sfida”. Il giornalista mette a fuoco la leggendaria figura del buttero cisternese Augusto Imperiali, l’uomo che sfidò il mitico Buffalo Bill in carne ed ossa, rinnovando così, mutatis mutandis, la vicenda di Davide che sconfisse il gigante Golia. “Augustarello” diventò l’icona del desiderio di riscatto-affermazione di un’intera (piccola) città-comunità. Buono questo racconto, anche per il ritmo serrato proposto, tipico del cronista consumato. L’editrice Tunuè ha da poco pubblicato, proprio basandosi su questi fatti, una graphic novel intitolata “L’uomo che sfidava le stelle”, scritta proprio da Nasi.
Che altro aggiungere? L’idea dalla quale è scaturito questo libro antologico pare allo scrivente ottima, perché poggia sull’indiscutibile eterogeneità di un territorio provinciale particolarmente ampio e dunque ricco di spunti infiniti. Peccato solo, qua e là, intravedere quegli eccessi di buonismo da parte di qualche autore che, forse per troppo amore per la propria terra, tende a dividere il mondo in buoni e cattivi, secondo stereotipi che una narrativa moderna – anzi: postmoderna, per usare il linguaggio dei critici letterari – deve proporsi obbligatoriamente di superare. In queste scelte e in questi atteggiamenti riconosco un certo provincialismo culturale che, a volte, è figlio di un eccesso di umiltà o del timore delle critiche di qualcuno. Col quieto vivere, però, non si fa grande letteratura. Il vero scrittore deve osare di più, quando la storia lo richiede, senza stare troppo a pensare alle reazioni di chi la leggerà. Altrimenti non si cresce, artisticamente parlando: il rischio, in estrema sintesi, è quello di parlare troppo di storia, religioni e popolazioni antiche, e troppo poco dell’uomo e della donna di oggi e della loro inquietante fragilità, dinanzi a un mondo che sembra correre a 300 all’ora verso… il nulla.