Libri
Cosa tiene accese le stelle
di Giorgio Cavagnaro / 13 luglio
Mario Calabresi non ha la vena beffardamente polemica di Montanelli, né il brusco cinismo montanaro di Giorgio Bocca e nemmeno l’imperturbabile perfidia di Enzo Biagi.
Non ha nemmeno l’aplomb britannico e la bonomia tagliente di Piero Ottone.
Non potrebbe essere altrimenti,è figlio degli anni 70 e da quelli è stato segnato come pochi qui in Italia, inutile ricordare quando e come.
Ma fra le tante voci sgangherate e, a volte, talentuose che invadono i media nazionali contemporanei, la sensazione è che tra vent’anni chi vorrà scrivere un riassunto di quest’epoca sfortunata che stiamo vivendo è a lui che dovrà fare riferimento.
‘Cosa tiene accese le stelle’ è un saggio sul presente italiano, con un occhio ben documentato al passato e la tenace convinzione che rinunciare al futuro sia l’errore più tragico per un giovane, nonostante l’evidenza di un’Italia demotivata e sfiancata da malgoverno, crisi e corruzione
Sapiente la scelta dei personaggi chiamati dall’autore a testimoniare sulla realtà dei fatti, da Roberto Benigni e Franca Valeri a Umberto Veronesi, Massimo Moratti e tanti altri personaggi noti e meno noti tra cui spicca l’intelligenza sempre acuta e lungimirante del sociologo Giuseppe De Rita.
Una frase mi ha colpito più di tutte ed è quella che Calabresi sente pronunciare da Lorenzo Cherubini, già Jovanotti, a metà di un concerto, citando il rettore di Harvard: “ I migliori allievi di questa università non sono quelli che escono e trovano un lavoro,ma quelli che escono e si inventano un lavoro”.
Peccato che al momento il nostro disgraziato paese sia chiamato, come massima aspirazione, a combattere per il “Mattarellum” contro il “Porcellum”. Ma il libro di Calabresi è di quelli che fanno bene al cuore, un iniezione di moderata positività in tanto strepito non fa male, anzi, serve come il pane.