Libri
Il linguaggio segreto dei fiori
di Chiara Gulino / 20 settembre
«Forse anche chi ha vissuto isolato e senza affetti poteva imparare ad amare profondamente al pari di chiunque altro».
Questa frase, quasi una massima, è l’insegnamento che Victoria, protagonista de Il linguaggio segreto dei fiori, di Vanessa Diffenbaugh (Garzanti, pp. 368, Euro 18,60), trae dalla sua breve, fino ad allora, ma intensa e difficile vita.
Victoria Jones, luogo e data di nascita sconosciuti (ma registrata dal tribunale il 1 agosto), così come sconosciuta è l’identità dei suoi genitori biologici, dopo numerosi tentativi falliti di adozione, viene infine affidata alla comunità-alloggio di San Francisco fino al diciottesimo anno di età. È proprio a questo punto che prende avvio la narrazione della Diffenbaugh con frequenti flashback nell’infanzia di Victoria, in particolare all’unica parentesi felice e insieme drammaticamente sconvolgente di quel periodo, ossia l’anno passato con Elisabeth, l’unica donna riuscita a far breccia nel muro di ritrosia misantropica della piccola Victoria. È lei ad insegnarle i significati che si celano dietro i fiori. L’educazione floreale impartita da Elisabeth le rivelerà un modo di comunicare alternativo alla parola, l’unico modo con cui Victoria da grande riuscirà a relazionarsi con il mondo esterno e a farsi apprezzare.
Victoria è però una bambina difficile: irascibile, distaccata, laconica, impenitente. Victoria ha paura del contatto fisico: «Il fatto era che fra il mio corpo e quello degli altri mettevo pareti, tavoli o oggetti di metallo pesante ogni volta che mi era possibile». È taciturna e solitaria. L’anno passato con Elisabeth sembra averla cambiata e fatto trovare la serenità, ma anche in quella occasione, per rabbia e sfiducia nel prossimo, Victoria brucia la sua possibilità di avere finalmente una famiglia. Un gesto sconsiderato la segnerà facendola sentire da allora in poi «indegna e imperdonabilmente sbagliata».
La Victoria diciottenne continuerà infatti a portare il fardello di una colpa inconfessabile. Ancora una volta i fiori saranno il suo rifugio. Dapprima vivrà da barbona nel parco di McKinley Square a San Francisco nascosta fra le piante da lei coltivate: «…e il primo giorno mi immaginai di poter davvero vivere un’esistenza anonima, nascosta e protetta fra le piante». Da quell’angolo di mondo, il suo mondo, spiava le bambine che venivano a giocare con le madri nel parco: «Al mattino presto pensavo a quelle bambine e mi chiedevo a quale sarei stata più simile se avessi avuto una mamma che mi accompagnava a scuola ogni giorno. E mi immaginavo obbediente invece che ribelle, pronta al sorriso invece che scontrosa. Mi chiedevo se mi sarebbero piaciuti lo stesso i fiori e la solitudine».
Dopo alcune settimane passate nel suo giardino e vivendo degli avanzi degli avventori di un bar, Victoria fa un altro importante incontro. Conosce le fioraia Renata e scopre di possedere un dono innato: quello di creare composizioni floreali capaci di parlare al cuore della gente e lenire le ferite della loro anima. È un destino bizzarro, quello di Victoria, proprio lei che è incapace di prendersi cura di se stessa e di alleviare le sue sofferenze. Ben presto diventa l’aiutante stabile di Renata, ma soprattutto avrà l’occasione di conoscere, o meglio di rincontrare, Grant, un tenebroso venditore di fiori che con la sua dolcezza riuscirà a vincere la resistenza di Victoria a lasciarsi andare ai sentimenti. Ma anche in questa occasione, il passato tornerà a farla fuggire dalla felicità.
Il romanzo ha avuto giustamente un notevole successo, sicuramente anche grazie a una studiata strategia di marketing: il libro è infatti disponibile in quattro versioni, ognuna con una copertina floreale diversa dando così la possibilità al lettore di scegliere il fiore che più si addice alla sua indole, la rosa per la grazia e l’eleganza, la camomilla per emergere dalle difficoltà, la gerbera per l’allegria e la buganvillea per la passione.
Il merito di Vanessa Diffenbagh è quello di aver creato un personaggio affascinante quanto complicato sotto il profilo psicologico. Fragile e forte al tempo stesso, Victoria crede di non essere in grado di amare perché non è mai stata amata. Crede che l’amore sia un sentimento troppo profondo e perfetto per lei, così sbagliata. Alla fine però capisce, quando diventerà madre, che anche l’amore materno può essere, come il musco, «un amore imperfetto e senza radici», ma pur sempre amore.