Varia
“La morsa” di Luigi Pirandello
di Luca Errichiello / 6 febbraio
La morsa si stringe su chi vive l’apparente calma della quotidianità, perché fatta di accattivanti giorni felici, come di silenziosi baci, di figli che crescono e di un lavoro soddisfacente. Si cade nella morsa in virtù di una ricompensa, dunque. Si accetta di vivere una felicità immediata al prezzo di vincoli senza tempo. Pirandello costruisce in La morsa un’altra “stanza della tortura”, in cui tuttavia non vi è alcun boia. La tortura è l’evidenza della vita che viene mostrata. Non c’è necessità di alcun torturatore quando le vittime non distinguono la vita dalla tortura. I vincoli sociali fanno sì che i personaggi possano solo sfiorarsi, mentre le loro vite sono staticamente chiuse in bacheche di vetro, simboli di ruoli sclerotizzati, che si ripetono infinitamente senza alcun epilogo. Proprio l’epilogo è riportato nel sottotitolo della pièce: «Epilogo in un atto di Luigi Pirandello». Anche se la sensazione è quella di una messa in scena breve e chiusa in sé stessa, si percepisce l’eterno ritorno delle costrizioni che vivono i personaggi in scena, in un’esistenza sempre più vicina alla ripetizione teatrale.
La vicenda è infatti di quelle ancestrali: il triangolo del tradimento, il sottile amante che inizia a sentire il fiato sul collo e cerca la fuga (l’avvocato Antonio Serra, interpretato da Arturo Cirillo), l’annoiata donna traditrice che prende coscienza del suo stato (la signora Giulia, interpretata da Sabrina Scuccimarra), il marito oberato di lavoro che si trasforma in persecutore (Andrea Fabbri, interpretato da Sandro Lombardi). Tuttavia ciascun personaggio presto rivela il suo patimento interiore: ognuno è vittima di un ruolo che non ha nulla a che vedere con le proprie emozioni. La morsa è quindi stretta da un vago ma asfissiante rapporto tra l’uomo e la società e ciascuno è perciò destinato a vivere in solitudine il dibattersi della propria esistenza nel ruolo, solo come gli oggetti nelle bacheche che colmano la scena.
La regia di Arturo Cirillo riesce a dare un tono di frustrante oppressione, anche grazie ai suoni animaleschi che emergono di tanto in tanto e che si confrontano con la staticità complessiva della scena. L’atmosfera si fa intrisa di sospetto e della perversione del marito persecutore finchè non avviene lo svelamento del tradimento, che sembra allentare irrimediabilmente una tensione che pure aveva il merito di catturare l’attenzione dello spettatore. Tale rottura dell’incubo, tuttavia, risulta funzionale all’economia complessiva del testo, che vedrà nel tragico finale il solo modo per compiere nuovamente lo schema classico della persecuzione dell’amore fedifrago. Arturo Cirillo, ormai maestro nell’interpretazione di personaggi emersi e vissuti nel sospetto, divide alla pari la scena con un sorprendente Sandro Lombardi, che riesce a rimanere sempre composto nel suo enorme e ridondante sadismo. La signora Giulia invece, pur contaminata dal peccato, sembra inizialmente poter mantenere la propria integrità: si scoprirà presto essere una corda tesa e pronta a spezzarsi, come ben sottolineava Tolstoj in Anna Karenina: «Ecco, se prendete una corda che non sia troppo tesa e tentate di spezzarla non ci riuscirete, ma se la corda è tesa fino all’estremo, la spezzerete toccandola con un dito».
Ancora una volta l’apparenza borghese, pur definendo e categorizzando nettamente e irrimediabilmente ogni personaggio, lascia spazio al non detto, che si palesa non nella parola gridata, ma nel vuoto lasciato dalle estremità spezzate della corda tesa, un vuoto incolmabile e per questo mortale per i mortali e immortale nel suo ripetersi perennemente.
La morsa
di Luigi Pirandello
regia di Arturo Cirillo
con Arturo Cirillo, Sandro Lombardi e Sabrina Scuccimarra
Andato in scena presso il Nuovo Teatro Nuovo di Napoli dal 31 gennaio al 5 febbraio 2012.