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“La partita di pallone. Storie di calcio”
di AA.VV.

di Francesco Vannutelli / 3 novembre

La sublimazione del calcio come fenomeno culturale. Questo il senso di La partita di pallone (Sellerio, 2014), che, con la curatela di Laura Grandi e Stefano Tettamanti, raccoglie racconti, storie e resoconti di calcio da ogni angolo del mondo e da ogni momento del Novecento calcistico.

L’obiettivo è quello di superare, una volta per tutte, il pregiudizio culturale collegato alla letteratura sportiva nel nostro paese, quello snobismo che portò un giornale come La Repubblica, nel 1976 del suo debutto in edicola, a privarsi delle pagine sportive per sottolineare la distanza dalle passioni popolari dozzinali (salvo poi pentirsene poco dopo. Lo stesso errore lo ha commesso Il fatto quotidiano, limitando la cronaca sportiva nei suoi primi mesi di pubblicazioni), o Umberto Eco a relegare la prosa innovativa, neologistica e contaminata di Gianni Brera al rango di «gaddismo spiegato al popolo». Era il 1963. Da allora, le cose sono cambiate, e tanto, a partire dalla considerazione di Gianni Brera, riferimento oggi indiscutibile per la scrittura calcistica in Italia, non solo per il giornalismo.

In Italia esiste ormai un filone sempre più nutrito di letteratura calcistica che racconta storie note o dimenticate di calciatori e di tutto quello che galleggia all’interno dell’oceano del pallone. C’è Federico Buffa, che con i suoi racconti televisivi ha ridefinito nell’ultima estate l’immaginario dei campionati del mondo, ci sono testate online come FútbologiaUltimo uomoCrampi sportivi, che fanno incontrare narrazione e analisi, e nuove forme editoriali come 11, che uniscono la tradizione del Guerin sportivo con il linguaggio di riferimenti internazionali come la rivista spagnola Panenka (dal giocatore ceco che per primo tirò un rigore “a cucchiaio”. Era la finale del campionato europeo del 1976, tra Germania Ovest e Cecoslovacchia. I cechi vinsero grazie a quel rigore. Francesco Totti sarebbe nato solo tre mesi dopo).

Come scrivono i due curatori nell’introduzione, quando la letteratura sportiva si lega all’energia e all’emozione dell’evento smette di essere «sullo sport» per diventare «dello sport», cioè parte fondamentale della portata epica e storica dell’evento stesso, canzone di gesta e testimonianza lirica.

Rifacendosi a quella tradizione di letteratura sportiva alta che ha in altri sport esponenti colossali come Hemingway e Cortázar, Grandi e Tettamanti sono andati alla ricerca di ventisette contributi che mettono insieme Osvaldo Soriano e Nick Hornby, Vasco Pratolini e Manuel Vásquez Montalbán, la seconda Roma di Zeman e l’Ajax di Cruijff, Gigi Meroni e Zinedine Zidane.

Ci sono i mondiali, soprattutto, perché i mondiali mettono d’accordo tutti, almeno in una nazione, e perché hanno in loro l’epica dell’evento, nei quattro anni d’attesa, nella replica perenne di stili di gioco e rivalità ataviche, nel riscatto possibile sul campo. E tra i mondiali ci sono soprattutto quelli del 1982, della vittoria più bella dell’Italia contro avversari impossibili come il Brasile di Zico-Socrates-Falcão e la Germania inarrestabile, raccontati con un cut-up di cronache sportive da Vittorio Sermonti, che sa quasi di filologia calcistica, e con i racconti delle scaramanzie familiari nella Sicilia di Davide Enia.

La dimensione privata si alterna indifferentemente al racconto ufficiale, al pezzo di giornale. Come si è scritto di recente a proposito di un altro testo, il calcio è l’ultimo rito collettivo rimasto, Pasolini insegna, ma l’elemento del collettivo si fonda anche sul momento del culto personale, della contemplazione domestica del televisore, della replica del gesto sul campo di terra. Nelle cinque parti che compongono La partita di pallone, quindi (“Il gioco più bello del mondo”; “Riscaldamento”; Novanta minuti”; “Dagli altri campi”; “Figurine”), la cronaca si alterna al ricordo privato, sia quello di un’infanzia svizzera di rivalità, come per Paolo Di Stefano, sia quello di una antipatia di carta per un calciatore, come per Gianni Rivera e l’altro Gianni già nominato, Brera, che diventa anche elemento di memoria di un altro calcio nel saluto di un terzo Gianni, Mura. E poi c’è la letteratura, tanta, quella splendida dei sudamericani, quella sorprendente, per uno statunitense, di Jim Shepard. Il tutto in equilibrio tra romanticismo e nostalgia, tra gloria adulta e venerazione infantile, per quel calcio che è (anche) sentimento e passione, e una forma, tutta particolare, di mancanza. Perché, come ha scritto Dylan Thomas (e riporta Gianfranco Calligarich), «la palla che da bambino ho lanciato verso il cielo non è tornata indietro».

(Aa. Vv., La partita di pallone. Storie di calcio, a cura di Laura Grandi, Stefano Tettamanti, Sellerio, 2014, pp. 424, euro 15)