Cinema
“Exodus – Dei e re” di Ridley Scott
Mosè e il popolo ebraico tornano al cinema con il regista di “Il gladiatore”
di Francesco Vannutelli / 14 gennaio
Premessa esegetica: l’Esodo è il secondo libro dell’Antico Testamento. In esso si racconta la storia della schiavitù ebraica sotto i faraoni d’Egitto, della liberazione guidata da Mosè, del lungo cammino verso la Terra Promessa e del consolidamento dell’alleanza tra Dio e il popolo eletto attraverso le tavole dei dieci comandamenti e la ritualizzazione della vita quotidiana e religiosa degli ebrei.
Ridley Scott concentra il suo Exodus – Dei e re sulla liberazione e ancora di più sul confronto di rivalità e affetto tra il profeta Mosè e il faraone Ramses II, cresciuti insieme come fratelli (anche se di fatto cugini adottivi) alla corte di Menfi e finiti a combattersi come rivali.
Mosè è infatti un generale dell’esercito egiziano quando lo vediamo per la prima volta. È stimato da tutti per il suo coraggio e la sua virtù. Il faraone Seti lo preferisce addirittura al figlio Ramses, che ritiene troppo poco saggio e vittima delle passioni per succedergli. Durante una visita a un cantiere, Mosè entra in contatto con il popolo ebraico, sfruttato in schiavitù nella costruzione dei monumenti egiziani. È lì che scopre la sua vera natura, le sue origini ebraiche, l’abbandono nel Nilo per sottrarlo alla repressione del faraone contro i primogeniti. La scopre anche Ramses, nel frattempo succeduto al padre, che decide di esiliarlo. Divenuto pastore a Madian, e marito e padre, incontra Dio sotto forma di bambino e decide quindi di guidare gli schiavi ebrei contro il faraone e verso la liberazione.
L’anno scorso era toccato alla Genesi e al diluvio universale trovare una nuova vita cinematografica con Noah. Darren Aronofsky aveva scelto per il suo Russell Crowe biblico un approccio che coniugava l’aspetto religioso con una sfumatura molto vicina al cinema fantasy contemporaneo (prendiamo i Guardiani), rinunciando in più punti all’aderenza con la Scrittura per una gestione personale dell’apparato mitico ancor più che religioso. Exodus di Ridley Scott sceglie una strada differente che non riesce a definirsi pienamente. Il discorso puramente religioso viene lasciato in secondo piano e, anzi, quando viene avanti sono tutti molto attenti a rimanere sul vago e a condannare ogni forma di fondamentalismo e prevaricazione in nome della fede, visti i tempi.
La storia di Mosè, il suo rapporto con Dio e il suo ruolo all’interno del popolo ebraico sono raccontati in un’ottica che se non si può dire pienamente storica può essere definita quanto meno secolarizzata. La filmografia di Ridley Scott ha ormai insegnato a tutti che il regista britannico preferisce prendersi tutte le libertà narrative che vuole nel suo rapporto con la storia, ogni volta che la incrocia (da 1492 a Robin Hood). Exodus si adegua a questa idea di cinema. Quello che Scott vuole raccontare è soprattutto la storia di Mosè come uomo e il suo rapporto con Ramses. È nell’opposizione tra i due che si sviluppa la trama principale del film, nell’inadeguatezza di Ramses ad adempiere il suo ruolo, nell’amore del padre che sente più forte per Mosè che per lui (e qui Scott si limita a rifare se stesso e il rapporto Commodo-Marco Aurelio di Il gladiatore). Mosè, dall’altra parte, si trova strappato dalla sua casa tre volte: da appena nato sottratto alla vera madre, da adulto bandito da Menfi e di nuovo nove anni più tardi quando Dio lo chiama a sé per guidare il popolo eletto allontanandolo dalla nuova famiglia.
È nel rapporto tra Mosè e Dio che questa visione secolarizzata viene fuori per quello che è: quando i due “si incontrano” per la prima volta, Mosè ha appena preso una botta in testa inseguendo le sue capre sul Monte Sinai. Tutto quello che succede – il cespuglio in fiamme che non brucia, il dio-ragazzino rasato che dice «Io sono» con una certa perentorietà e la missione che diventa irrinunciabile – può sembrare il delirio di un allucinato convinto di parlare con un dio che solo lui può vedere (e qui c’è una differenza sostanziale con la Bibbia, in cui anche il fratello di Mosè, Aronne, parla con il Signore). Infatti, è così che lo vede Giosuè, uno dei suoi più vicini collaboratori, quando lo spia mentre parla da solo sui monti. Anche le piaghe che colpiscono l’Egitto trovano una loro giustificazione scientifica e non divina per esistere, fino a un certo punto, però, in cui nessun tipo di spiegazione razionale può essere dato e allora si ripiega sull’intervento divino.
Ecco, Exodus ha questo: non riesce mai a trovare una sua specifica identità, rimane sospeso tra storia, mito e religione senza decidere dove appoggiarsi. I suoi protagonisti gli vanno dietro, perché il Mosè di Christian Bale è un condottiero, è un ribelle, è un invasato, è un uomo pieno di dubbi, è un padre che vuole tornare dalla famiglia, è un fratello che soffre, è un po’ Massimo Decimo Meridio e un po’ Robin Hood (per rimanere sul cinema di Scott) ma pure William Wallace, è un po’ tutto e un po’ niente, a seconda del momento. Quello che non riesce mai ad essere è un personaggio di adeguata grandezza per fare il film da solo.
Intorno a lui, a parte il Ramses complessato di Joel Edgerton, si muove un brulichio di personaggi minori senza una adeguata dimensione, senza un ruolo determinato o determinante. Sono scritti poco, non sono strutturati nonostante si potesse contare su una serie di attori di primo livello (John Turturro, Ben Kingsley, Sigourney Weaver, Aaron Paul). Considerando che Exodus voleva essere un film di uomini c’è qualcosa che non va.
Ovviamente, per tutto quello che è spettacolo visivo non c’è niente da recriminare. Ridley Scott è riuscito a infilare nel film anche le battaglie che gli vengono tanto bene, la traversata del Mar Rosso è spettacolare, e tutto il resto di ottimi effetti speciali e scenografie a schermo verde.
(Exodus – Dei e re, di Ridley Scott, 2015, storico, 150’)
LA CRITICA - VOTO 5/10
Si temeva che sarebbe venuto fuori un Mosè in stile Gladiatore quando si è saputo che Ridley Scott avrebbe realizzato Exodus. Oggi si può dire: magari. Pur ricalcando il modello (rivalità fratricida, allontanamento, ritorno, vendetta), Scott non è riuscito a creare nessun tipo di epica e grandezza, né nel personaggio né nello scorrere piatto, seppur spettacolare, degli eventi. E Christian Bale, per una volta, non fa la differenza.