Varia
“Der Park” di Botho Strauss
Post orgasmic chill di una notte di mezza estate
di Federica Imbriani / 22 maggio
Peter Stein torna a Roma con Der Park, la più grande produzione di questa stagione del Teatro di Roma, tragicommedia firmata da Botho Strauss appositamente per il regista nel 1983. Affresco di una società attuale e universale, Der Park affronta, nelle parole del regista, «il degenerare della sessualità a pura merce, o a puro gioco fisico di forza, la ricaduta in comportamenti che direi primitivi, come il razzismo e l’utilizzo della religione come arma politica; la perdita di memoria, il disorientamento delle nuove generazioni, la paura della crisi e della propria fine, la commercializzazione dell’arte e tante altre cose che sono esattamente il mondo di oggi».
Nella notte di San Giovanni, le vicende della commedia shakespeariana si ripetono nel Grosser Tiergarten, nei pressi di un cespuglio mezzo morto e ingombro di immondizia. Il Sogno shakespeariano ritorna a vivere in una realtà dove l’amore è un valore dimenticato, il sesso è vissuto in maniera meccanica e inconsapevole e l’arte è mercificata e derubata della sua funziona mistica di collegamento tra realtà e l’ideale.
Oberon e Titania, con sembianze umane e in povertà, si risvegliano quindi con l’intento di resuscitare negli uomini la passione erotica poiché, sull’onda dell’avanzamento tecnologico e del progredire della società, essi hanno smarrito la loro natura sensuale, istintiva e primordiale.
Grazie all’intervento di Cyprian, scultore eletto da Oberon e da lui elevato a moderno Puck, i sentimenti di Georg, Helen, Helma e Wolf vengono invertiti e Titania, punita dal marito perché incapace di frenare il proprio desiderio, cede, vittima di un incantesimo, alla fascinazione per un toro.
In questo afflato mistico abortito che rievoca le atmosfere e gli sfondi sui quali Neil Gaiman ci ha insegnato a cercare gli American Gods, Sandman e i suoi sei fratelli, gli uomini non riescono a raggiungere l’armonia divina ma trascinano gli dei nella carne mortale. Dopotutto le premesse sono sbagliate: l’arte è caduta dal trapezio e si è storta una caviglia, lo spazio non è altro che un recinto che contiene una natura banale, domata e fortemente umanizzata e gli amuleti di Cyprian sono simboli di una magia incapace di durare più della moda, oggetti di un’arte che, mercificata, si squalifica passando da miniatura a piccolezza.
La conclusione, infatti, è amara: fallito il loro progetto, Oberon e Titania si perdono nella società umana fino a confondersi con le sue miserie, incapaci persino di riconoscersi e ritrovarsi. Cieca lei e spezzato, Mittentzwei, lui, sono condannati a un’esistenza depredata delle possibilità dell’amore, mostruosa come il Minotauro generato in quella folle notte di mezza estate.
Sullo sfondo, le scene di Ferdinand Woegerbauer, imponenti e montate a scena aperta. C’è addirittura un secondo palcoscenico piramidale capace di rappresentare, a seconda del modo in cui i personaggi lo abitano, la scatola all’interno della quale è contenuta la potente magia di Cyprian, l’ara sulla quale Titania sacrifica al toro la sua esuberante sessualità, e la collinetta calva sulla quale si risvegliano, intontiti, i giovani punk berlinesi testimoni inconsapevoli e destinatari refrattari dell’opera degli dei.
Der Park
di Botho Strauss
traduzione Roberto Menin
regia Peter Stein
con Pia Lanciotti, Graziano Piazza, Silvia Pernarella, Gianluigi Fogacci, Maddalena Crippa, Paolo Graziosi, Fabio Sartor, Andrea Nicolini, Mauro Avogadro, Martin Chishimba, Arianna Di Stefano, Laurence Mazzoni, Michele De Paola, Daniele Santisi, Alessandro Averone, Romeo Diana e Flavio Scannella, Carlo Bellamio
Roma – Teatro Argentina dal 5 al 31 maggio
Foto di copertina: Serafino Amato
LA CRITICA - VOTO 8/10
Strauss-Stein a trent’anni dalla prima di uno spettacolo che rinnova il fascino di un’epoca mitica in cui gli dei interloquivano con gli uomini e lascia in bocca il gusto amaro che ha la vita nettata da ogni senso di mistico e di sacro.