Flanerí

Libri

“Vacche amiche”
di Aldo Busi

(un’autobiografia non autorizzata)

di Chiara Gulino / 7 settembre

Aldo Busi è un personaggio scomodo, eccessivo, provocatorio. Il suo Ego ipertrofico non ha limiti, è strabordante.

In Vacche amiche (un’autobiografia non autorizzata) (Marsilio, 2015) erompe ogni argine di censura, sempre però sotto forma di alta letteratura.

Questo «illuminista professo che ha in odio tutte le religioni e tutti i loro profeti», è aggressivo, vero, parossisticamente sincero, scandalosamente onesto: «L’invidia è un sentimento segreto che trapela senza che tu lo possa manifestare apertamente, e non fa per me, mi sono voluto troppo estrovertito e diretto per covare sentimenti vergognosi: l’odio lo puoi manifestare, l’amore non del tutto, l’invidia te la devi tenere per intero».

Anticlericale, anticomunista, la sua religione è la letteratura, «sforzo sovrumano di ridare dignità al verbo, al verbo essere, in tutta la sua pagana, poetica, universale, non mediabile minuscola».

Odia la morale comune, disprezza il ricco fattosi da sé come quello per nascita, ma anche il nato povero, la classe politica, gli evasori fiscali, gli opportunismi sfacciati, l’ipocrisia, i critici letterati che non sanno distinguere uno scrittore da uno scribacchino, il pericoloso progresso. Se la prende con Oriana Fallaci «con i suoi estremismi antislamici comodamente residenti e ben riparati negli Stati Uniti, mi suscitava ribrezzo e sdegno non meno del Ku Klux Klan».

Con spietata lucidità dà nel suo monologo sproloquiante giudizi tranchant persino su Proust (non ci viene detta la provenienza dei soldi dei suoi aristocratici nullafacenti; lui le madeleine invece di mangiarsele «le sarchiavo le aravo le seminavo le falciavo le trebbiavo le macinavo le setacciavo»), Oscar Wilde, Sartre, Zola. Apprezza invece Albert Camus, «gloriosamente tutt’uno per coraggio civile e bellezza letteraria», e tutti quelli «che non neghino nei fatti della vita quanto hanno scritto nelle parole dell’opera».

Non meno importanti per definire l’uomo Busi, inscindibile dal Busi scrittore, perché, come scriveva Pasolini a Moravia, occorre abolire la separazione tra io letterario e io biografico, laddove annotazioni autobiografiche, letterarie, politiche, socilogiche si mescolano e si saldano chimicamente in un deriva inconscia, sono i ricordi, gli aneddoti, gli eventi narrati, gesti di generosità che non si spiega neanche lui, come donare un ovetto a un bambino povero o ballare con la figlia storpia della fruttivendola. Ma soprattutto centrale è il racconto delle tre «vecchie amiche traditrici»: «E mai ho sofferto per un’amicizia che ho dovuto troncare come quella per le donne»›.

Lui che non ricorda nulla degli uomini che ha amato, ricorda tutto invece delle donne che ha adorato e da cui si è sentito pugnalato alle spalle.

La prima, frequentata tra i tredici e i venticinque anni, lo ricontatta dopo trent’anni per confessargli di aver fatto un falò delle sue lettere.

Poi c’è la seconda, «la bellissima creola dai fianchi sottili», traditrice del marito, un Oblomov alcolizzato, obeso e gottoso, erede di diamanti sudafricani insanguinati, rappresentante dei poteri forti, non meno disgraziato dei veri disgraziati. Con lei l’amicizia è profonda, spirituale, intellettuale.

La terza infine lo costringe ad accompagnarla in Belgio per sottoporsi all’inseminazione artificiale.

In questa sua autobiografia non autorizzata, come la definisce lui stesso, Busi sdrammatizza molto: drammatico quando ci sarebbe di che ridere anche se amaramente, divertente nel narrare fatti tragici, mali della società come la corruzione, la connivenza, la meschinità; senza falsi pudori né peli sulla lingua, quando dichiara la sua omosessualità, criticando anzi la cattiva educazione sessuale dei genitori; tenero quando ricorda gli zii contadini.

Moralista non ipocrita, il suo è il ritmo dello stile sublime anche nell’eccesso, perché l’importante non è tanto avere un amico sincero ma una comunità non ostile. A volte basta un sorriso, un saluto o lo sguardo con «quegli occhioni da sciantose perse» delle «vacche amiche» della gioventù quando muggivano «vezzose e affrante alzando il muso verso il vischio delle conifere».

(Aldo Busi, Vacche amiche (un’autobiografia non autorizzata), Marsilio, 2015, pp. 177, euro 15)

LA CRITICA - VOTO 8/10

Paladino della libertà di pensiero, inscindibile dalla libertà di espressione e pubblicazione, il paradosso è che Aldo Busi di fatto non ha più un editore, forse per quel suo «andare fuori tema», rimanendo però coerente con se stesso, che i suoi maestri gli rimproveravano da ragazzino.