Libri
“Armi e bagagli” di Enrico Fenzi
Il racconto dall’interno del terrorismo italiano
di Francesco Vannutelli / 15 febbraio
Nel 1987 uscì per l’editore genovese Costa & Nolan Armi e bagagli, un libro fondamentale per capire quello che erano state le Brigate rosse negli anni immediatamente precedenti, tra i più complicati nella breve storia della Repubblica italiana. A scriverlo era stato Enrico Fenzi, un’esponente della colonna genovese che aveva deciso di raccogliere in forma narrativa i ricordi degli anni della lotta armata, tratteggiando quello che è uno dei più interessanti quadri d’insieme dall’interno degli anni di piombo in Italia. Oggi questa opera importantissima torna in libreria grazie a Egg edizioni.
Enrico Fenzi, sulla sua pagina Wikipedia è definito in apertura come «ex terrorista e storico della letteratura italiana». Come studioso, è ritenuto tra i massimi di Dante e Petrarca (nel 2008 ha pubblicato la monografia Petrarca per Il Mulino). Come terrorista, è stato un esponente della colonna genovese delle Brigate rosse, il nucleo terroristico fondato direttamente da Mario Moretti e Rocco Micaletto che nel giugno del 1976 fu co-responsabile, insieme al comitato esecutivo centrale, del primo omicidio di natura puramente politica delle BR: l’assassinio del giudice Francesco Coco e di due uomini della sua scorta. Tra il 1975 e il 1981, il nucleo ligure fu responsabile di una serie di attività tra le quali sei omicidi e quindici ferimenti. La colonna genovese fu, tra le sei divisioni delle Brigate rosse (le altre avevano sede a Milano, Torino, nel Veneto, a Roma e a Napoli), una delle più organizzate sul piano dell’azione militare e delle più coese dal punto di vista ideologico, con l’attenzione della lotta rivolta quasi esclusivamente alla questione operaia.
«Che avveniva nelle fabbriche? Quello era il grande continente sconosciuto, e la meta di tutti i nostri andirivieni», è l’interrogativo che pone Fenzi, che mostra la tendenza costante della colonna alla ricerca di un programma che «permettesse di entrarci, in quel continente desiderato e irraggiungibile». Solo che nelle fabbriche non c’era più un terreno in cui far fiorire un discorso. «I giovani operai arrabbiati di qualche anno prima erano spariti», e le misure estreme che i brigatisti provarono ad adottare, incluso l’omicidio dell’operaio e sindacalista Guido Rossa, si rivelarono essere, il più delle volte, delle armi a doppio taglio. Il sistema non veniva ferito, il movimento perdeva di consenso tra gli operai, e non bastavano i goffi tentativi di spiegazione (nel volantino di rivendicazione dell’omicidio di Rossa si legge chiaro «È stato un errore») per riavvicinare la colonna alla classe operaia genovese.
Enrico Fenzi entrò nelle Brigate rosse a quarant’anni, con una carriera solida di docente universitario già avviata. Da molti è stato considerato uno degli ideologi del movimento. All’interno della colonna conservò in verità una posizione marginale, mantenendo soprattutto contatti personali con alcuni degli esponenti di spicco. Il ruolo di ideologo che la cronaca gli ha attribuito in base alla sua posizione di intellettuale lo ha sempre rifiutato. Per sé, ha sempre rivendicato il ruolo di militante semplice, di «manovale», come si è voluto definire parlando con Sergio Zavoli nel programma La notte della Repubblica. Non ha mai partecipato alla stesura di documenti brigatisti, anzi ha ammesso di averli letti raramente. Ha preso parte a una sola azione violenta, facendo da copertura a Luca Nicolotti, Francesco Lo Bianco e Alberto Franceschini durante il ferimento di Carlo Castellano, dirigente del gruppo Ansaldo ed esponente del Partito Comunista Italiano. Per il resto, ha distribuito volantini. Dagli anni Ottanta scelse la strada della clandestinità dopo essere stato inquisito e assolto dall’accusa di banda armata (Carlo Alberto Dalla Chiesa parlò di «ingiustizia che assolve», commentando la sentenza).
La sua adesione nacque dalla visione del mondo capitalistico come un «dinosauro morente» contro il quale sentiva la «necessità minuziosa e concreta della lotta armata». La vera radice della sua visione politica l’ha trovata dopo gli anni della militanza nel Sartre della Critica della ragione dialettica, quello che vede «l’uomo come avvenire dell’uomo» e rivendica il ruolo del gruppo rivoluzionario in azione come unico in grado di riappropriarsi della totalità. È in questa prospettiva che inquadra l’azione terroristica come un modello in grado di ricomporre «i frammenti del presente, per riappropriarsene alla luce di una totalità integralmente attualizzata». Il brigatista come lo Spirito Assoluto di Hegel, come tentativo di realizzare «il progetto e la verità della Storia».
Per Fenzi, le Brigate rosse sono state il momento terminale del comunismo italiano come movimento che ha attraversato nella realtà locale le fasi storiche dell’intera vicenda politica globale. «La sconfitta delle Brigate rosse ha avuto, qui da noi, lo stesso valore e lo stesso senso che avrà vent’anni dopo, emblematicamente, il crollo del muro di Berlino. Non solo: per le sue caratteristiche l’esperienza italiana è stata per molti aspetti un’esperienza centrale, perché in essa gli elementi della tradizione comunista sono arrivati al loro capolinea».
Armi e bagagli non pretende di essere una giustificazione ideologica degli anni della militanza: «non c’è rimedio a ciò che è stato fatto […], il male compiuto ridicolizza le pretese delle parole». Per questo, Fenzi rivendica a più riprese per la sua opera la natura «dichiaratamente narrativa». «È un libro, non un atto di autocoscienza».
Comunque l’autore la voglia vedere, la profondità di un’analisi così acuta e dettagliata, che intreccia la storia con la riflessione politica in una forma che sa accompagnarsi anche con la narrazione più letteraria, è la linfa di un documento fondamentale per comprendere il passato e vedere anche al presente. Alla casa editrice Egg va il merito di aver riproposto Armi e bagagli in questa nuova versione.
(Enrico Fenzi, Armi e bagagli. Un diario dalle Brigate Rosse, Egg, 2015, pp. 276, euro 14)
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LA CRITICA - VOTO 7,5/10
Della storia d’Italia, soprattutto di quella degli ultimi cinquant’anni, si parla sempre troppo poco. Libri come Armi e bagagli sono fondamentali per aiutare a capire cosa è stato e cosa è il nostro Paese.