Cinema
“L’ultima parola – La vera storia di Dalton Trumbo” di Jay Roach
Gli anni neri del maccartismo e della caccia alle streghe
di Francesco Vannutelli / 9 febbraio
Gli anni oscuri del maccartismo e della caccia alle streghe anti-comunista nella Hollywood degli anni Cinquanta sono al centro di L’ultima parola – La vera storia di Dalton Trumbo, biografia cinematografica di uno dei più importanti sceneggiatori di Hollywood, costretto a lasciare il suo lavoro a causa delle sue idee politiche.
Dopo la fine della seconda guerra mondiale sono cambiate tante cose negli Stati Uniti. Prima, essere amici dell’Unione Sovietica, e quindi del comunismo, era un bene. Negli anni Trenta era nato un Partito comunista degli Stati Uniti d’America per contrastare ogni possibile avanzata di ideologie nazi-fasciste nel continente nordamericano, ma con la fine del conflitto ogni simpatizzante inizia a essere visto con sospetto. La commissione per le attività anti-americane riceve l’incarico di investigare su chiunque abbia un passato e un presente di agitatore politico. Uno dei primi posti dove andare a guardare è Hollywood, la patria del cinema e terreno naturale per coltivare qualsiasi propaganda. Dalton Trumbo è stato lo sceneggiatore più pagato del cinema americano (e quindi mondiale) degli anni Quaranta. Solo che era un comunista, iscritto al partito e difensore delle cause dei lavoratori dell’industria cinematografica. Quando l’occhio della commissione inizia a studiare chi muove le dita sulla macchina da scrivere, Trumbo si mette alla guida dei cosiddetti “Hollywood Ten”, i dieci uomini di cinema indagati e incarcerati per oltraggio alla corte durante le audizioni per le attività anti-americane. Sono stati anni neri negli storia degli Stati Uniti e del cinema, in cui personaggi come Trumbo sono stati costretti a vendere il proprio lavoro sotto falso nome per mantenersi, fino a che la follia non è stata chiara a chiunque.
Nella sua lunga carriera, Dalton Trumbo ha vinto due Oscar, senza poterli ritirare. Il primo nel 1954 per Vacanze romane. Il premio venne ritirato da Ian McLellan Arthur, che firmò il copione al suo posto. Il secondo nel 1957 per La più grande corrida firmato dal fantomatico Richard Rich, un personaggio mai esistito. Su IMDb risulta come autore di quasi settanta tra soggetti e sceneggiature. In moltissimi casi risulta essere non accreditato. La verità è che Dalton Trumbo, dopo essere finito in carcere, ha iniziato a vendere i propri copioni alla casa di produzione dei fratelli King, specializzata in titoli di serie B, che lo facevano lavorare senza che comparisse il suo nome. Era nato un vero e proprio mercato nero delle sceneggiature, con scrittori disperati che confezionavano in una sola notte i dialoghi per improbabili incontri tra extraterrestri e contadine.
Nel 1976 un inedito Woody Allen aveva interpretato Howard Price, un cassiere che finiva a firmare le sceneggiature per un amico accusato di comunismo, in Il prestanome di Martin Ritt. Era un chiunque che prendeva le parole degli altri (dietro compenso) e diventava sempre di più uno sceneggiatore importante della televisione. Per Dalton Trumbo e gli altri le cose sono andate al contrario. L’ultima parola – La vera storia di Dalton Trumbo arriva a raccontare gli anni bui di Hollywood, in cui la censura ideologica impediva alle persone di lavorare e costringeva sceneggiatori e registi a cambiare paese o a denunciare gli amici.
Pur confrontandosi con un momento storico dal forte connotato politico, il film di Jay Roach evita il rischio di schierarsi preferendo piuttosto raccontare la storia di Trumbo, concentrandosi sul personaggio e non sulle idee. Non c’è molto spazio per un’analisi approfondita della psicosi anti-comunista e della caccia alle streghe. Viene mostrato quello che basta: il fanatismo patriottico della Hollywood di destra capeggiata da John Wayne e allineata dal megafono della penna di Hedda Hopper; qualche cittadino infuriato con la posizione di Trumbo. Per il resto c’è la vita di un uomo costretto a nascondere il suo nome per fare l’unica cosa di cui era capace: scrivere.
Con tutta l’attenzione spostata su Trumbo è inevitabile che il vero motore del film sia l’interpretazione del protagonista Bryan Cranston, già sopraffino e pluripremiato Walter White nella serie culto Breaking Bad, che ha ottenuto la sua prima candidatura all’Oscar (e a un bel po’ di altri premi) per il suo Trumbo fragile e complesso.
Per il resto, però, L’ultima parola – La vera storia di Dalton Trumbo è un biopic piuttosto convenzionale sul tema della caduta e della risalita. Trumbo viene descritto nella sua solitudine lavorativa ma sempre inserito all’interno di rapporti in cui riesce a esprimere davvero se stesso, nella diffidente ostilità con Helda Hopper, nelle amicizie con i colleghi o con l’attore Edward G. Robinson, nel lavoro con i fratelli King, nella intimità familiare in cui la moglie lo sopporta e consiglia in silenzio e in cui la figlia più grande, Nikki, decide di fargli capire quello che sbaglia. Nessuno dei personaggi di contorno, però è approfondito e problematizzato, rimangono come degli abbozzi in cui sono evidenti i caratteri dominanti e niente di più. Così, anche l’Helda Hopper spietata di Helen Mirren finisce per essere poco più che una figurina, per non parlare di Diane Lane, moglie silenziosa e in disparte. John Goodman, comunque, riesce a rubare un po’ di spazio al one man show di Bryan Cranston nei panni burberi di uno dei fratelli King, così come il tedesco Christian Berkel che si ritaglia dieci ottimi minuti da Otto Preminger.
Alla prima prova di cinema impegnato dopo la serie di Mi presenti i tuoi di Austin Powers, il regista Jay Roach si affida completamente a Bryan Cranston e fa bene. I due saranno ancora insieme nel film tv All the Way sul primo complesso anno di presidenza di Lyndon Johnson.
(L’ultima parola – La vera storia di Dalton Trumbo, di Jay Roach, 2015, biografico, 124’)
LA CRITICA - VOTO 6,5/10
Hollywood guarda al suo passato più nero per non dimenticare. Lo fa ricordando il lavoro e le sofferenze di un grande sceneggiatore, Dalton Trumbo, interpretato da un grande attore, Bryan Cranston. Il resto è solo contorno.