Cinema
Che cosa è successo agli Oscar 2016
Forse poco, a parte DiCaprio e Morricone
di Francesco Vannutelli / 1 marzo
È stata una edizione senza nessun vero vincitore, questa ottantottesima notte degli Oscar. Un’edizione in cui i premi si sono sparsi tra i vari candidati lasciando un senso strano di incompletezza, una domanda vaga a pesare sul pubblico: sì, va bene, ma chi ha vinto, alla fine?
Nella storia degli Oscar si parla di Big Five quando un film viene candidato – e vince – in quelle che sono considerate universalmente le cinque categorie più importanti: miglior film, regia, attore protagonista, attrice protagonista e sceneggiatura (originale o non). È una cosa che succede molto raramente, più del triplete nel calcio, addirittura è successo solo tre volte: nel 1939, con Accadde una notte di Frank Capra, nel 1975 con Qualcuno volò sul nido del cuculo di Milos Forman, nel 1991 con Il silenzio degli innocenti di Jonathan Demme.
Proprio perché è una cosa molto rara, quando qualcuno vince almeno tre dei cinque premi del Big Five può essere considerato un pigliatutto, un trionfatore.
L’anno scorso Birdman aveva fatto la parte del pigliatutto. Aveva vinto quattro premi (che volendo non sono neanche tantissimi; in quell’edizione ne ricevette quattro anche Grand Budapest Hotel), di cui tre facevano parte del Big Five: miglior film, regia e sceneggiatura originale.
Quest’anno, invece, le statuette delle categorie più prestigiose si sono distribuite tra quattro film diversi, senza nessun vero e proprio dominatore. È chiaro, Il caso Spotlight ha vinto il premio per il miglior film, che di fatto è il premio più importante di tutti, e quello per la sceneggiatura originale, ma non è abbastanza per parlare di vero e proprio trionfo, come non si può parlare di trionfo per Revenant – Redivivo per cui Iñárritu ha ricevuto il suo secondo premio consecutivo per la regia (entrando così nella storia come regista in grado di vincerlo per due edizioni di fila, insieme a John Ford e Joseph Mankiewicz) e per cui è arrivato finalmente l’Oscar per Leonardo DiCaprio, dopo quattro nomination andate a vuoto.
In termini numerici, il vincitore è stato Mad Max – Fury Road che si è aggiudicato sei statuette, ma sono premi tecnici (montaggio, costumi, trucco, scenografia, montaggio sonoro, miglior sonoro) che comunemente hanno un valore specifico inferiore, nella considerazione generale.
È certo che le dodici nomination di Revenant e le dieci di Mad Max – Fury Road avevano lasciato immaginare che ci sarebbe stato fino in fondo un testa a testa tra i due film, così diversi per messaggio ed estetica e allo stesso tempo così vicini nella voglia di innovare il linguaggio cinematografico.
All fine, tra i due è sbucato Il caso Spotlight, con una forma più vicina al cinema classico e una sorpresa molto relativa, per chi aveva osservato i premi precedenti. Il film di Tom McCarthy è stato premiato, in totale, diciotto volte come miglior film in questa stagione, nelle varie competizioni, completando la sua cavalcata con il premio più desiderato e prestigioso di tutti.
Cosa rimarrà a questo punto di una edizione degli Oscar così frammentata, a parte l’Oscar per DiCaprio? Sicuramente il premio a Ennio Morricone, che a 87 anni si porta a casa la prima statuetta in concorso dopo quella alla carriera ricevuta quasi dieci anni fa. Quando aveva ritirato il premio dalle mani di Clint Eastwood nel 2007, Morricone aveva detto che non riteneva quel premio un punto di arrivo, ma di partenza. È stato di parola, ed è diventato il vincitore più anziano nella storia dell’Academy.
Tolta la gloria individuale, rimane una stagione degli Oscar caratterizzata prima di tutto dall’assenza di coraggio. In mancanza di un film che veramente abbia messo d’accordo tutti – pubblico e critica –, o al quale sia stata riconosciuta globalmente una capacità di stupire come era stato lo scorso anno per Birdman, i membri dell’Academy hanno preferito differenziare la scelta, colpendo un po’ qua e un po’ là.
Si era capito già dalle nomination che sarebbe stato un anno strano, a dir poco confuso. Da un lato, la grande presenza di film ritenuti “indipendenti” tra i candidati al miglior film, aveva messo in chiaro il tentativo dell’Academy di dimostrare un’attenzione rivolta al cinema che cambia. Brooklyn, Room, ma anche La grande scommessa, non appartengono alle abituali logiche di Hollywood. Si sapeva che non avrebbero avuto alcuna possibilità di vincere il premio, ma già la candidatura è il segno di qualcosa di diverso, almeno nelle intenzioni, di quella voglia di Hollywood di provare ad andare dietro ai vari festival indipendenti sparsi per gli Stati Uniti (Sundance, Telluride) e anticipare quelle che potrebbero diventare le stelle del futuro. Anche Il caso Spotlight, in questo senso, non appartiene al giro delle major. È chiaro anche che in un altro momento storico un film come Mad Max – Fury Road non sarebbe mai stato preso in considerazione per il miglior film o la miglior regia, perché non appartiene a Hollywood, è fuori dalle convenzioni del cinema d’azione. E invece sono arrivate le candidature a pioggia, ma è mancato il coraggio di dare premi importanti.
Probabilmente, nella categoria miglior film avrebbe meritato spazio Inside Out, il vero grande film della stagione scorsa, ma ancora una volta è mancato il coraggio. E poi c’è la confusione, quella che ha portato a esclusioni a dir poco incomprensibili (Aaron Sorkin per lo script di Jobs, per dire il più evidente), e quella che ha incrociato le categorie una con l’altra. Avrebbe avuto più senso, per esempio, mettere Alicia Vikander come protagonista (è lei la Danish Girl del titolo, non Eddie Redmayne) e Brie Larson come non protagonista, visto che per una buona mezz’ora sparisce da Room. Poi c’è la confusione che ha lasciato propagare la polemica per gli #OscarSoWhite e gridare allo scandalo per l’esclusione degli attori di colore, come se Idris Elba avesse davvero qualche possibilità per Beasts of No Nation, prodotto e distribuito da Netflix, cioè la nemesi attuale di Hollywood, o Will Smith potesse realmente essere preso in considerazione per Zona d’ombra, visti i suoi rapporti tutt’altro che rosei con l’establishment negli ultimi anni.
Insomma, questi ottantesimi premi Oscar sono destinati a lasciare un ricordo molto pallido nella storia del cinema dei prossimi anni. A essere ricordato sarà l’Oscar a DiCaprio, senza dubbio, e forse nient’altro, a parte l’occhiolino di Mark Ruffalo.