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Cinema

“Perfetti sconosciuti”
di Paolo Genovese

Alcune considerazioni sulla commedia campione d’incassi

di Francesco Vannutelli / 8 marzo

L’incredibile successo di pubblico di Perfetti sconosciuti, la commedia corale diretta da Paolo Genovese distribuita nelle sale da Medusa ormai un mese fa, è una cosa che si vede sempre più di rado nel cinema italiano. A parte il fenomeno Checco Zalone, che impone record irraggiungibili se non da se stesso, sono anni che non ci si trovava di fronte a un film italiano ai primi posti del box office per un periodo così prolungato. Un film italiano, per di più, capace di mettere insieme il consenso del pubblico e quello della critica. Una cosa incredibile.

Quando abbiamo visto il film a inizio febbraio, qui avevamo ritenuto che non fosse necessario parlarne. Non che il film non ci fosse piaciuto, anzi, ma sbagliando completamente la previsione avevamo immaginato che l’attenzione del pubblico sarebbe stata catalizzata quasi completamente dai film candidati ai vari premi Oscar in uscita in quei giorni e che un film come Perfetti sconosciuti avrebbe avuto la classica vita breve riservata ai film italiani, sia che abbiano successo o meno: se ne parla per un po’ al momento dell’uscita, durano in sala al massimo due settimane, e poi spariscono in attesa del passaggio televisivo.

Questo perché a essere obiettivi, il film di Paolo Genovese sembrava avere tutte le caratteristiche per fare la stessa fine di una commedia tra tante altre. Prima di tutto perché il regista stesso non è che sia proprio questo autore garanzia di qualità. Nella carriera di Paolo Genovese non sono mancati i successi commerciali e le buone idee, ma ha sempre prevalso un’impostazione più vicina al prodotto televisivo e alla prevedibilità che alla vera e propria intuizione cinematografica, e gli ultimi due lavori, Tutta colpa di Freud e soprattutto Sei mai stata sulla Luna?, non avevano fatto altro che confermare i difetti del suo cinema.

C’è da dire, poi, che Perfetti sconosciuti andava a infilarsi già al momento dell’uscita in un filone cinematografico perfettamente riconoscibile e fin troppo sfruttato nell’ultimo anno, ossia il film in ambiente unico in cui un gruppo di attori si confronta su un tema forte per una durata di tempo limitata, tipo una cena, o una notte. C’era già stato Il nome del figlio di Francesca Archibugi, era passato da poco, e nell’indifferenza dei più, Dobbiamo parlare di Sergio Rubini, e il film di Genovese arrivava come ennesima variazione dello stesso copione.

Qui abbiamo tre coppie di amici, più un non accompagnato, che si riuniscono per cenare insieme e osservare l’eclissi totale di luna prevista per quella sera. Mentre mangiano e bevono, alla padrona di casa viene in mente di fare un gioco: ognuno degli ospiti dovrà condividere con gli altri tutte le telefonate e i messaggi che arriveranno sui cellulari nel corso della serata. Ovviamente l’idea si trasformerà in fretta in un massacro reciproco, con verità rivelate, sicurezze infrante e tutto il repertorio.

Se si può riconoscere l’originalità dell’idea di partenza, non si può negare comunque che di fatto non è nient’altro che la variazione del tema già stravisto nell’ultimo anno, cioè la messa alla berlina dell’ipocrisia della vita borghese di oggi e cose del genere. La differenza rispetto al resto, però, Perfetti sconosciuti la fa puntando su quelli che sono gli abituali punti di forza del cinema di questo tipo, da Carnage di Roman Polanski in poi, cioè la qualità della scrittura e la bravura degli interpreti.

Facendosi affiancare in sceneggiatura da Rolando Ravello (anche attore e regista), Paolo Costella (anche regista) e Filippo Bologna (anche scrittore), Genovese è riuscito ad aggirare molti dei limiti della commedia italiana di oggi, di cui è uno degli esponenti più quotati. Da un lato, infatti, in Perfetti sconosciuti mancano tutte quelle trappole tipiche della commedia più popolare, ossia il ritratto di una società senza imperfezioni, in cui tutti sono moderatamente benestanti, moderatamente belli e senza alcun tipo di problema reale, concreto. Sono quelle commedie in cui i protagonisti vivono in appartamenti perfetti, vestono bene, di solito sono medici, avvocati, pubblicitari, e così via. Dall’altra parte, i quattro sceneggiatori sono riusciti a evitare la gabbia della commedia intellettuale, in cui i protagonisti, sempre di una qualche levatura artistica, si pongono al di fuori della società per discutere di concetti altri. I sette protagonisti di Perfetti sconosciuti  sono persone normali, con lavori normali e problemi normali. La dimensione sociale esiste, ma non viene messa di forza in primo piano, per fare vedere che si ragiona sul Paese a tutti i costi. Passa sullo sfondo, si intuisce dai dialoghi. Sembra poco, ma è una rarità autentica nel cinema d’oggi, in cui il ceto medio è praticamente estinto ed esistono solo le situazioni problematiche o il benessere.

Sulla base di un copione solido trovano modo di esprimersi al meglio i sette protagonisti. Campioni ormai consolidati del botteghino come Marco Giallini ed Edoardo Leo vengono affiancati da due outsider come Valerio Mastandrea e Giuseppe Battiston, che forniscono il contributo maggiore proprio per il loro essere estranei al cinema più popolare. Sul versante femminile, Kasia Smutniak, Anna Foglietta e Alba Rohrwacher si misurano con personaggi per una volta non bidimensionali e soprattutto non vicini alle loro consuete interpretazioni. Nel gruppo di attori a prevalere è soprattutto la spontaneità, la recitazione libera, la sintonia.

Forse è la qualità l’ingrediente segreto che sta garantendo a Perfetti sconosciuti una vita – cinematografica – superiore alle attese. Medusa aveva garantito una distribuzione iniziale solida in circa cinquecento copie, il resto lo sta facendo il passaparola degli spettatori. Dopo un avvio di 2016 che ha visto il nuovo trionfo di Checco Zalone con Quo vado?, accompagnato questa volta anche dal consenso unanime della critica che si è affollata a spiegare al pubblico, che non legge gli articoli dei critici, perché tutti andassero a vedere il film, il successo del film di Genovese sembra gettare una speranza luminosa sul futuro del cinema italiano. Sarebbe bello se esplodesse al botteghino anche Lo chiamavano Jeeg Robot, speriamo che il passaparola faccia il suo dovere.

 

(Perfetti sconosciuti, di Paolo Genovese, 2016, commedia, 97’)

LA CRITICA - VOTO 7,5/10

A un mese dall’uscita, Perfetti sconosciuti continua a occupare stabilmente i posti più alti del botteghino. È un ottimo segnale per il cinema italiano, che potrebbe aver (ri)trovato un modello per unire qualità e interesse del pubblico.