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Libri

“Il grande animale”
di Gabriele Di Fronzo

Un ottimo esordio per il giovane scrittore torinese

di Virginia Giustetto / 20 giugno

In Il grande animale (Nottetempo, 2016), il romanzo d’esordio di Gabriele Di Fronzo, il protagonista Francesco Colloneve, tassidermista di professione, ha trasformato la sua casa in un laboratorio, imparando a imbalsamare, con i dovuti accorgimenti, tutti gli animali che gli vengono commissionati. Il suo lavoro, per riprendere le sue parole, «ha a che fare con la parte viva dei morti». È in questa frase si condensa il télos principale della storia: il tentativo di soffiare un po’ di vita nella morte per combattere l’inesorabile ingresso della morte nella vita.

Per questo motivo, su un primo piano narrativo – la storia di una vita e di un mestiere, quello del tassidermista – s’innesta una seconda storia: il rapporto con il padre. Aspettando di essere accolto in un centro di riabilitazione, il vecchio padre domanda al figlio di trasferirsi a casa sua, per «aiutarlo nel dispiegare la sua faticosa quotidianità»; e il figlio, eleggendo uno stanzino a nuovo improvvisato laboratorio, acconsente alla richiesta. Da qui in avanti i due piani s’incrociano e si inseguono, con punti di contatto che ne sfilacciano i contorni, favorendo slittamenti sinistri: «Fossi stato bravo» dice Colloneve a un tratto, immaginando il padre che gli vive accanto né più né meno che come uno dei suoi animali, «avrei conferito a mio padre la postura eretta da uomo adulto, fossi stato davvero bravo avrei fatto così».

Questo gioco di rincorsa non sarebbe possibile, però, senza chiamare in causa il terzo livello della storia: la scrittura. Il grande animale, infatti si dispiega attraverso una narrazione che procede per brevi paragrafi numerati, piccoli ritratti che richiamano, per accuratezza e ritmo, la serie di incisioni a cui il tassidermista si presta in fase di lavoro, quella «filiera organizzativa», per riprendere le parole di Colloneve, che egli conosce nei minimi dettagli e non esita a presentare. Quest’approccio narrativo da un lato priva il racconto di un unico ininterrotto respiro, dall’altro, però, è un’ulteriore chiave di accesso al mondo del protagonista, perché si adagia totalmente sul suo personaggio, sui movimenti e le idiosincrasie che gli sono propri: procede per enumeratio (l’elenco sul corredo usato dal tassidermista, su ciò che il padre tiene nella tasca dell’accappatoio, l’elenco delle volte in cui il padre, molti anni prima, ha inflitto su Colloneve bambino le sue frustrazioni, sono solo alcuni esempi) ed è costruito su una sintassi certosina, che talvolta chiede al lettore di fare uno sforzo, di non correre, di procedere con la lentezza del tassidermista, oltre che su un lessico esatto e a tratti desueto, come desueto è il campo di forza attorno a cui gravita la vita di chi racconta. C’è una ricerca enorme, dietro alla scrittura del Grande animale – leggetevi, se siete interessati, il pezzo che Di Fronzo ha scritto per Rivista Studio qualche settimana fa e che permette di entrare dietro le quinte del suo mestiere.

Quando, a circa due terzi del romanzo, i due piani narrativi collidono – e il punto di fusione non può non chiamare in causa la morte, umana però, prima che animale – Di Fronzo architetta con grande maestria l’ultima necessaria operazione. Per comprendere il grande movimento finale, il lunghissimo processo di spoliazione che investe le ultime sessanta pagine del romanzo, bisogna tornare, guarda un po’, alla prima incisione della storia: «Ho fatto esperienza che qualunque cosa non si voglia perdere va innanzitutto vuotata, bisogna fare spazio, sgomberare, portare via quello che c’era in precedenza, occorre sempre togliere: solo così, ciò che altrimenti subito scomparirebbe, rimarrà nostro per sempre».

Walter Benjamin, nel 1936, scriveva che nella coscienza comune l’idea della morte ha perso progressivamente la sua onnipresenza e la sua icasticità, e, allontanandosi da essa, l’essere umano, volente o nolente, ha preso le distanze dalla stessa idea di narrazione. E allora Di Fronzo, per tutta la lunghezza del romanzo, cammina con lentezza sul crinale sottile che unisce, e non separa, la vita dalla morte.

 

(Gabriele Di Fronzo, Il grande animale, Nottetempo, 2016, pp. 161, euro 12)

LA CRITICA - VOTO 8/10

Il primo romanzo di Di Fronzo ragiona attorno a questioni assolute, come il trapasso dalla vita alla morte, e lo fa attraverso una lingua accurata e tagliente che incide le nostre paure così come Colloneve, tassidermista di professione, fa ogni giorno con i suoi animali.