Varia
“R.I.P. – Ritorno In Platea” di Luca Gaeta e Salvatore Rancatore
Un cappio al collo e un salto nella coscienza
di Giorgia Basili / 18 novembre
Una piccola impalcatura rosso fiamma dalla forma di una gigantesca poltrona, di quelle che si trovano vicino alle insegne delle località balneari, come una tiny house (una piccola abitazione dotata di tutto l’occorrente) accoglie l’attore e si fa contenitore di sogni e passioni. Si trasforma in un balcone dove poter curare una pianta grassa o eventualmente un bonsai, in una finestra da cui sporgersi nel caos cittadino, una ghigliottina per darsi il colpo di grazia. Si scherza con il prototipo teatrale per eccellenza, tirando fuori l’immancabile teschio amletico e condividendo una corona di plastica, con annessi brillocchi, solo per il gusto di ribadire che la vita può essere un gioco, o meglio in gioco: il frutto acerbo di decisioni, di promesse non sempre mantenute, di azioni che non tornano più indietro. Siamo sopraffatti dalle sferzate e dai manrovesci, collaudati nel suo ritmo senza posa eppure basta sapersi prendere e non smettere di voltare pagina e di imboccare la prossima avventura.
Capitolo conclusivo della trilogia sulle disavventure di un attore qualunque, dopo Confessioni di un burattino senza fili e #ALTROKESUPERMAN, Luca Gaeta e Salvatore Rancatore portano in scena R.i.p. – Ritorno In Platea con la sua carica di umorismo irresistibile, inguaribilmente elastico.
Tutto inizia dai primi passi: i primi vorrei espressi e non realizzati non rubano il sorriso sul volto, resistente e impavido, del nostro attore qualunque. Una saltafoss – bici da cross con le marce davanti alla sella – oggetto del desiderio del bambino che riceve in cambio una «Graziella da passeggio» diventa la metafora di un adattamento complicato a ciò che la realtà riserva, qualcosa che stenta a raggiungere il massimo. Della serie “la vetta spetta ai pochi eletti”. L’oscar sospirato dal protagonista ha le sembianze di una causa persa.
Lo spettacolo, condito dei toni della tragicommedia, diventa così l’ultima spiaggia per confidare le proprie mancanze senza farne un dramma. L’attore, Salvatore Rancatore, si confessa, schiacciato e deriso da una società affezionata alle “persone che contano” quanto il peso del loro denaro, affermandosi pur sempre come individuo. Tuttavia la condivisione dei propri pensieri e progetti con la platea non è sufficiente a riscattare l’amarezza di un’esistenza che non ha raggiunto gli obiettivi imposti dalla propria coscienza e non ha saputo realizzarsi.
R.i.p. con coraggio porta avanti la riflessione spinosa del ruolo sociale dell’artista, sottopagato come fosse privo di un mestiere concreto, come un funambolo sempre sul filo del rasoio tra il riconoscimento e la derisione.
Un’ottima interpretazione per Rancatore che, indossando le vesti d’attore, ironicamente si trova a sfoggiare un anonimo pigiama corredato, come sostituto del fiore all’occhiello, da una toppa a forma di emoticon in adorazione, con gli occhi a cuoricino. L’attore qualunque alla ricerca del pubblico in delirio conclude il suo ultimo spettacolo chiedendo l’elemosina. Dopo esser passato tra la gente col berretto in mano per ottenere monetine, Salvatore Rancatore torna sul palco, la gigantesca poltrona, e in piedi con gli occhi rivolti al cappio della ghigliottina decide di saltare. Le luci si spengono. Niente ribalta eppure gli applausi sono contagiosi.
R.i.p. – Ritorno in platea
di Luca Gaeta e Salvatore Rancatore.
Regia di Luca Gaeta
Progetto scenico Gianluca Amodio
Realizzazione scenica Matteo Barberini
Piano solo Melody Quinteros
Elaborazioni sonore Celeste Frontino
Sarto Antonio Bruni Ercole
Regista Assistente Fabio Ramiccia
Foto Giorgia Lucci
In scena al Teatro dell’Orologio dal 18 al 20 Novembre