Libri
“Oggetti solidi” di Virginia Woolf
Oltre il bordo delle cose
di Veronica Giuffré / 25 gennaio
Chiunque ami Virginia Woolf conosce bene la sensazione che si prova di fronte a una sua pagina mai letta prima: una specie di conforto nel ritrovare qualcosa di caro e insieme la sorpresa per aver scoperto un dettaglio inaspettato. È una di quelle autrici di cui si finisce per amare tanto le vicende personali quanto quelle dei personaggi che hanno inventato, a tal punto la sua vita sembra coincidere con l’atto stesso di scrivere. Virginia Woolf è sempre così dentro ogni parola che si riesce ad avvertire la sua presenza, quasi ci si potesse avvicinare, un passo per volta, a cogliere lo splendore tormentato della sua anima.
C’è qualcosa di molto simile all’intimità degli scritti privati di Virginia Woolf in tutti i quarantaquattro Racconti e altre prose che compongono la raccolta pubblicata da Racconti edizioni con il titolo Oggetti solidi, dallo scritto eponimo del 1918. Dopo oltre vent’anni di assenza, torna disponibile per i lettori italiani la raccolta integrale già stampata nel 1988 da La Tartaruga edizioni con la traduzione di Adriana Bottini e Francesca Duranti. La nuova curatela di Liliana Rampello – come l’edizione inglese a cura di Susan Dick – attraversa l’intero arco temporale della produzione woolfiana e mette insieme racconti pubblicati mentre la scrittrice era in vita, brani postumi e appunti ritrovati nei suoi quaderni. È un’alternativa a Tutti i racconti edito da Newton Compton (tradotto da Lucio Angelini, con un saggio introduttivo di Eraldo Affinati) e completa la collezione parziale contenuta nel meridiano Saggi, prose e racconti del 1998. E il tratto di Franco Matticchio si dispone fitto sulla copertina attraverso un’illustrazione realizzata negli anni Ottanta per accompagnare il racconto La vedova e il pappagallo, pubblicato da Emme Edizioni.
Il rigore della sequenza cronologica lascia al lettore la possibilità di esplorare la raccolta su un percorso arbitrario. Si può seguire il flusso della scrittura che «fiorisce, scaturisce, sboccia, esplode» e orientarsi tra gli intrichi di steli in una natura rigogliosa, a partire dagli asfodeli in “Il segno sul muro” che sembrano riecheggiare i daffodils dei versi di Wordsworth. Si possono catturare le suggestioni sonore di un quartetto d’archi e provare a distinguere le voci degli strumenti musicali in una fuga di Bach, o le parole degli invitati a una festa in mezzo al brusio delle chiacchiere da salotto. Si possono cercare i primi ritratti dei personaggi che troveranno una fisionomia compiuta nei romanzi Mrs Dalloway e Al faro. Oppure ancora, provare a rintracciare qualcosa della vera Virginia tra le righe, fino a rabbrividire scoprendo un presagio funesto nel congedo dalla vita di uno dei personaggi di “La fascinazione dello stagno” e della protagonista di “Il lascito”.
Ciò che resta invariato in questi racconti è la qualità squisita del timbro di voce di Virginia Woolf, che la rende inconfondibile, seppure mediata dal filtro della traduzione e della carta stampata. La forma breve è il luogo a lei più congeniale in cui esercitare le idee, lasciare spazio alle cose ancora da dire, dipingere sentimenti grandiosi attraverso immagini essenziali senza mai dire troppo apertamente, preferendo suggerire con pochi tratti decisi ciò che di straordinario balugina tra le pieghe di momenti ordinari.
Nel mondo visto attraverso gli occhi di Virginia Woolf ci sono stoffe in grado di prendere vita, diari di bisnonne vissute nel Cinquecento che parlano di storie mai raccontate, ci si interroga sulla felicità e sulla stranezza dei rapporti umani, si fa l’inventario degli «oggetti perduti nel corso di un’esistenza», con un’attenzione morbosa per le «cose che non accadono mai, sembra, mentre qualcuno sta guardando». In queste pagine succede spesso di osservare attraverso qualcosa: il riflesso di uno specchio, il vetro di una finestra, la superficie increspata di uno stagno, perché l’intento della scrittrice è sempre di spingere lo sguardo oltre il bordo troppo netto delle cose.
Oggetti solidi è una raccolta corposa che non ha la pretesa di insegnare nulla, ma da cui si imparano almeno due cose. La prima, che «la vita è quello che si vede negli occhi della gente; la vita è ciò che essi imparano e, dopo averlo imparato, mai cessano, per quanto tentino di nasconderlo, di essere consapevoli – di cosa? Che la vita è così, pare». La seconda, che sperimentare la bellezza in ogni forma è la fortuna più grande in cui si possa sperare di imbattersi.
(Virginia Woolf, Oggetti solidi. Tutti i racconti e altre prose, trad. di Adriana Bottini e Francesca Duranti Racconti edizioni, 2016, pp. 468, euro 19)
LA CRITICA - VOTO 8,5/10
Un condensato della scrittura di Virginia Woolf in una raccolta che torna a completare il quadro della produzione della scrittrice capace di scovare la bellezza dietro le cose di ogni giorno.