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Musica

“A deeper understanding” dei The War On Drugs

Granduciel dirige e produce il suo ultimo capolavoro

di Giada Ferraglioni / 19 settembre

Nella copertina di Lost in the Dream (2014), Adam Granduciel ha il viso di profilo coperto dai capelli e guarda in basso mentre si appoggia a una finestra. La luce da fuori sfibra i contorni delle cose e confonde l’ambiente, fumoso ai bordi del riquadro. In alto sulla destra, sbiadito, il titolo dell’album. In A Deeper Understanding uscito qualche settimana fa, Granduciel è seduto al Wurlitzer, dal quale sembra uscire una luce spontanea che gli illumina la figura rivolta verso l’obbiettivo. L’ espressione è compatta e la postura rilassata. In alto a destra, stavolta, il titolo è stampato in lettere bianche ben in contrasto con lo sfondo buio.

Lo scorso autunno avevamo riscoperto con Justin Vernon la grazia e la profondità di una preghiera nella sofferenza, attraverso le sue trame di evocazioni religiose e scenari naturali; ora, Adam Granduciel umanizza con la stessa potenza l’universalità del tempo, recupera l’invadenza delle Cause e ne racconta gli effetti, oscillando tra l’immobilità, la panne della depressione e le esplosioni della disperazione, tra il miglior Richard Manuel e il miglior Bruce Springsteen.

La quantità degli strumenti (e dei musicisti) impiegati nella realizzazione dell’album è la sintesi di come i The War on Drugs riescano a mettere insieme tanti minuscoli istanti per creare un sistema fluido. Lo avevano preannunciato già con il singolo “Thinking of a Place”, praticamente una performance teatrale che tiene incollati agli auricolari per 11 minuti col fiato sospeso. E dello stesso peso scenografico è stata “Pain”, seconda traccia del disco e secondo singolo lanciato, se possibile ancora più bello del primo. Quattro linee di chitarra, l’organo, il pianoforte, la batteria e le percussioni, il sassofono e, ovviamente, il basso: un flusso organico e armonico sul quale si poggiano i vocalizzi ‘dylaniati’ di Adam.

“Holding on” è già nel titolo il simbolo e la direzione della ricerca, dove la macchina dei The War On Drugs raggiunge i livelli più energici e springsteeniani dell’album e i versi di Granduciel l’ossessione più lucida: « When we talk about the past / What are we talkin’ of / Did I let go too fast? / Was I holding on too long?»
Esemplare anche la traccia di apertura ,“Up All Night”, che tra accelerazioni e frenate brusche incarna l’inizio frettoloso dell’esperienza e il suo inevitabile risolversi in nulla : «Don’t now how much I can take / I don’t know anything».
Nello stesso modo, il pezzo di chiusura “You Don’t Have to Go” simboleggia il punto d’arrivo. Tra l’arpa di Michael Johnson e i backing vocals dei The Dove and The Wolf, prende forma un inno all’amore che ci lascia ancora senza risposte ma trova nell’Altro l’unica consolazione possibile: «I can feel the chains / The winds of love blow few / Let it move through me / Let it blow thorugh you / And take you into the night».

A Deeper Understanding è un album che ruota attorno alla ricerca indefinita di un qualcosa e che trova la sua espressione massima non nella sua definizione, ma nella vaghezza stessa. Un album capace di correre nella giusta direzione, di ingarbugliarsi nei giusti epicicli, di percorrere con estrema fedeltà i cliché del dolore e di presentarcelo per la prima volta senza l’accento sui punti salienti ma attraverso la potenza degli stalli, delle stesse identiche domande ripetute come un mantra per mesi, anni, versi, strofe. Ma più di tutto, quello dei The War on Drugs è un lavoro compiuto, che non fa acqua da nessuna parte, senza crepe né pecche, senza aggiunte da dover fare, senza revisioni necessarie. Non è solo il racconto di un’esperienza, è l’esperienza stessa, immediata, ripetuta come nuova e sincera a ogni ascolto.

(A Deeper Understanding, The War On Drugs, roots-rock)

 

LA CRITICA - VOTO 9/10

Se I The War on Drugs riusciranno con il prossimo album a fare ancor meglio, converrà iniziare a rivedere le gerarchie musicali degli ultimi vent’anni.