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Il ritorno agli istinti primordiali in un lussuoso grattacielo inglese
“Il condominio”, romanzo distopico di J.G. Ballard
di Daria De Pascale / 1 novembre
«Nonostante tutti gli sforzi di Laing per isolarsi dai suoi duemila vicini e dal regime di banali controversie e irritazioni che costituivano la loro unica vita di comunità, stranamente il primo evento significativo aveva avuto luogo proprio lì. Su quel balcone dove ora, accucciato davanti a un fuoco di guide telefoniche, si stava mangiando il posteriore arrostito del pastore tedesco».
Il condominio, romanzo di J.G. Ballard pubblicato nel 1975, è la storia di un graduale ritorno agli istinti primordiali, che si svolge in un lussuoso grattacielo inglese. Ad abitarlo, una «collezione sostanzialmente omogenea di ricchi professionisti: avvocati, medici, fiscalisti, docenti universitari e pubblicitari… Secondo il metro consueto del livello finanziario e del grado d’istruzione, probabilmente più simili gli uni agli altri dei membri di qualsiasi altro agglomerato sociale immaginabile».
Trasferendovisi, i duemila inquilini del grattacielo pensano di trovare una macchina «progettata per servire non la collettività, ma il residente individuale e isolato». E tuttavia si trovano invischiati in una lotta inizialmente sottile, fatta di pettegolezzi e piccoli dispetti, che assumono ben presto la forma di conflitti sociali tra i tre settori del palazzo: in alto, i più facoltosi, che vivono in grandi attici con i loro cani di razza e godono di ascensori privati; in basso, famiglie con bambini, hostess che dividono gli appartamenti; in mezzo, «la massa centrale che faceva da stato cuscinetto».
Il condominio è un racconto corale della vita del grattacielo, narrata dal punto di vista di tre abitanti, rappresentante ognuno di una delle tre classi del palazzo; e dei legami, più stretti di quanto essi stessi desiderino, che si instaurano tra gli inquilini – che diventano via via membri di clan distinti. È soprattutto il racconto di una lotta sempre più brutale, infiammata dall’alcool e dalle continue feste notturne, pretesto per atti di violenza e di vandalismo che portano il palazzo a una rapida autodistruzione.
Il condominio e i suoi conflitti diventano la vera ragione di vita per gli inquilini, che, isolandosi al suo interno, rinunciano senza particolare sofferenza alla carriera, alle vite precedenti, trovando nel grattacielo una nuova forma di comunità, un nuovo ordine sociale e dei nemici con cui combattere.
Al progressivo decadimento del palazzo, che si ritrova presto senza acqua né elettricità ed è preda delle incursioni opposte di clan nemici, corrisponde una regressione dei suoi abitanti a un’umanità sempre più primitiva. Essi si abbandonano ai propri istinti non appena la situazione lo richiede, quasi senza pensarci – opponendo una vaga resistenza che è solo razionale: «Forse ad agire era ancora un altro impulso, il bisogno di isolare, di allontanare da sé ogni comprensione di ciò che realmente stava accadendo nel grattacielo, in modo che gli eventi potessero seguire la loro logica e sfuggire sempre più di mano».
È forse questo a rendere Il condominio un romanzo così pregnante e denso di inquietudini: in pieno stile ballardiano, la distopia non sta tanto in una modernità sentita come minacciosa e piena di pericoli, ma si nasconde nella stessa natura umana.
Non importa quanto colti o ricchi gli uomini possano mostrare di essere – sembra dire Ballard – o quanto il progresso permetta loro di distanziarsi dalla vita animale: continueranno a ricostruire ovunque le stesse gerarchie e lotte tribali e, non appena ne avranno la possibilità, toglieranno la maschera dei propri abiti rispettabili per tornare a procacciarsi il cibo e conquistare donne e territori.
Il grande condominio, allo stesso tempo visto con timore e deferenza, ma anche vandalizzato e piegato alle esigenze dei branchi, non è nemico di per sé. È solo una costruzione umana, pensata inizialmente per isolare – ed è infatti proprio per essere soli che gli inquilini decidono di viverci – ma in realtà fatta in modo da favorire nuove forme di legami e gerarchie.
È questo a permettere ai condòmini di superare la depressione latente e tornare a provare vera soddisfazione per la propria vita. Quasi che il progresso non fosse un vero arricchimento, ma una sofferenza auto-imposta, di cui tutti non vedono l’ora di liberarsi, per abbandonarsi alla propria vera natura, quella di animali che nella caccia e nella conquista trovano una vera ragione di vita: «Lo sporco sulle mani, il sudiciume dei vestiti e l’igiene declinante, il disinteresse per il cibo e le bevande, tutto contribuiva a mostrare una più realistica immagine di sé».
Pieno di humour nero e di un’ironia crudele, Il condominio è un lucido, pessimistico ritratto della natura umana nelle sue forme più aberranti, denso di immagini difficili da dimenticare, oggi più che mai attuali.