Musica
Usalo o perdilo: il talento degli U2 oggi
Songs of Experience, il nuovo album della band di Bono
di Luigi Ippoliti / 19 dicembre
Il lento declino di una band importante, la sensazione di trovarsi di fronte a un tradimento, una certa tendenza nel piegare il suono verso quello rassicurante del circuito mainstream/showbiz, l’idea di base di essersi venduti completamente alle leggi del mercato. Tutto questo ha trovato, negli ultimi anni, un termine che pare possa definirlo: coldplayzzazione. Due gruppi, oltre chiaramente ai Coldplay – che sono i primi a essersi coldplayzzati prima che questa parola si riempisse di questo significato più o meno preciso – sembrano aver subito questo processo in un passato recente: i Muse e gli U2. Per i primi, coevi dei Coldplay, è più facile fare un paragone non solo qualitativo, ma anche temporale: se la band di Chris Martin ha iniziato la discesa verso la corruzione artistica con Milo Xyloto (2008), quella di Bellamy l’ha intrapresa a partire da Black Holes and Revelations (2006). Entrambi i gruppi avevano degli album più che pregevoli alle spalle. Poi la caduta. Per gli U2 il discorso è più complesso, perché la storia della band di Bono, che oggi torna con Songs of Experience, è chiaramente più importante e più longeva.
Per gli U2 il discorso sembra, infatti, legato a una questione di naturale declino artistico: magari piuttosto precoce, se si pensa che il loro ultimo grande album è Achtung Baby, 1993. Gli U2, bene o male, hanno dato l’impressione quantomeno di provarci. Spesso con scarsi risultati, a volte con cadute bassissime. Ma quelle cadute provenivano sempre da loro errori. Gli U2, negli anni, sono semplicemente diventati degli U2 peggiori. Coldplay e Muse, no. Loro hanno cambiato muta, hanno fatto posto a un altro gruppo, adeguandosi in maniera furba a come si stava muovendo il mercato e auto calandosi in quell’altra dimensione con altri vestiti. Sono stati artisticamente meschini. Questo discorso di coldplayzzazione non è completamente attinente alla band irlandese. Gli U2 hanno continuato il proprio discorso artistico, scegliendo la strada sbagliata. Hanno perso il fuoco, pensando di averlo ancora in sé.
Songs of Experience è, nonostante tutto, un passo avanti rispetto al precedente Songs of Innocence, dove attorno al singolo “The Miracle (of Joey Ramone)” si sviluppava un lavoro pigro e ruffiano. Quest’ultimo lavoro, invece, si apre inaspettatamente bene, e lo fa in un modo avulso dalle logiche U2: i quasi tre minuti di “Love is All We Have Left” ci presentano un gruppo che da l’idea di essere fortemente ispirato. Una post-ballata alla Bon Iver di 22, a Million, l’espediente del vocoder usato proprio alla Justine Vernon in maniera attuale. Nonostante non dica nulla di nuovo, una bella boccata d’aria. Il riff di chitarra alla “Loser” di Beck fa da cornice al bel pop di “Lights of Home”, anticipando il singolo “ You are the Best Thing About me”, un pezzo costruito bene e che adempie a tutte le mansioni del singolo: immediato, senza essere stucchevole, e da traino per l’album – c’è da dire che gli U2, nel loro declino, sono sempre riusciti a tirare fuori singoli o singole canzoni (per esempio “Ordinary Love”, inserito successivamente in quest’album in versione remix, estratto dalla colonna sonora del film Mandela: Long Walk of Freedom) quantomeno funzionali.
I problemi iniziano dalla fine di “You are the Best Thing About me”. Dal pop punk adolescenziale di matrice Offspring di “Get Out of Your Own Way”, agli ammiccamenti a Ed Sheeran di “Summer of Love”, passando per i cori nauseanti di “The Red Flag”, fino alla scialba “The Blackout”.
Songs of Experience si perde in detti e ridetti, ed è un peccato perché sono presenti dei momenti che non ci si aspetta più dagli U2, dei momenti che valgono a prescindere dalla questione su cosa siano oggi gli U2: in “The Little Things That Give You Away”, infatti, sembrano quasi risbucare fuori gli U2 di War in un tipico pezzo alla U2 e in “13 (There is a Light)”, che viaggia verso gli stessi territori di “Love is All We Have Left”e con cui forma un bel trittico insieme a “Book of Your Heart”, c’è la classe che ha reso Bono quello che è Bono.
Songs of Experience è confuso e fragile. Probabilmente gli U2 non torneranno più quelli degli anni Ottanta e sarebbe anche ingiusto aspettarselo. Nonostante tutto, in quest’ultimo lavoro ci sono spiragli di luce dove è possibile rimirare un passato glorioso che la band di Bono non ha mai saputo trasformare, dalla seconda metà degli anni Novanta in poi, in presente.
(Songs of Experience, U2, Pop)
LA CRITICA - VOTO 5,5/10
Dagli U2 oramai non è più lecito aspettarsi nulla in più di quello che possono dare. Songs of Experience continua un discorso artistico fortemente confuso ma, nonostante questo, regala alcuni brani che ci ricordano cosa voglia dire U2.