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Libri

Campionamento del non finito

Kafka, Hemingway, Fitzgerald: prime tappe di un percorso sulle opere incompiute.

di Federico Leoni / 10 gennaio

«La sua vita sdegnosa cala giù tra le ombre». Così finisce, o non finisce, l’Eneide: «fugit indignata sub umbras». Pare che prima di morire Virgilio abbia chiesto ai propri amici di distruggere il manoscritto incompiuto del suo poema epico. Questi autori che ordinano la distruzione post mortem della propria opera sono degli insopportabili imbelli: volete dare alle fiamme quello che avete scritto? Fatelo. Invece no. La verità è che, insicuri come chiunque abbia il vizio di scrivere, cercano di salvare la dignità senza perdere la speranza. A soccorrerli c’è sempre un amico più intelligente di loro, sebbene meno geniale: Virgilio ebbe Vario Rufo; Kafka, Max Brod. Oggi sembrerebbe folle privarsi dell’Eneide solo perché il suo autore non ha avuto il tempo di limarla a dovere. Eppure l’idea di leggere un’opera incompiuta infastidisce la maggior parte dei lettori contemporanei. Se qualcuno ci racconta una storia, vogliamo sapere come va a finire. È umano e comprensibile, ma significa anche cedere a una finzione. La realtà somiglia piuttosto a certe saghe millenarie in cui ogni mito si intreccia e sovrappone agli altri, così che ciascuna storia è insieme ellittica e definitiva, e si completa solo nel quadro d’insieme. Non c’è romanzo più realista, ammesso che questo termine abbia ancora un senso, di quello che non giunge a compimento. Affrontare il non finito è una dimostrazione di maturità: le nostre giornate sfilacciate e inconcludenti ci fanno venire voglia di uno zuccherino, di una storia che giunga al termine e possa dirsi conclusa, ma se vogliamo considerarci degli esploratori, e i buoni lettori lo sono, dovremmo avere il coraggio di affrontare racconti destinati a sfociare nel nulla, di specchiarci nel doppione inquietante delle nostre vite illogiche. Un esercizio tutt’altro che inutile: si può leggere un intero libro anche solo per leggere un’unica parola, e un’unica parola può salvarci.

L’incompiuto ci pone di fronte al dilemma essenziale del nostro essere lettori: cosa cerchiamo in un romanzo? Un buon epilogo? Non credo sia una valida risposta. Non c’è nulla di più sexy di una ragazza che legge da sola al tavolino di un bar, ma se legge un romanzo incompiuto è ancora meglio. Perché? Perché probabilmente è pronta a tutto.

L’elenco degli incompiuti è variegato e, almeno all’apparenza, senza fine, così come infinite sono le ragioni che possono impedire a un autore di terminare la propria opera. La più evidente è la morte, che infischiandosene dei progetti narrativi dell’autore recide il filo a prescindere da ciò che è concluso e da ciò che non lo è. Anche solo questo basterebbe a gelare le nostre smanie teleologiche. La morte dell’autore è la disarmante conferma del fatto che la natura non ha alcun rispetto per i progetti artistici dell’uomo. Quando un romanziere muore prima di scrivere la parola fine lascia dietro di sé un mucchio di domande, sulle quali potrebbero essere destinate ad arrovellarsi intere generazioni di critici e lettori. Questo basterebbe a rendere la narrativa un’attività degna di considerazione, dato che il massimo che possiamo concederci in questa vita è di indispettirci a vicenda. C’è ovviamente chi non ha voluto assaporare l’estremo piacere di lasciare i posteri a bocca asciutta: Proust, tanto per dire, ci ha fornito una prova di eccezionale stoicismo e dedizione all’arte scrivendo praticamente in agonia le ultime righe della Recherche. Non poté revisionarle, ma poco importa.

C’è poi chi fa dell’incompiuto la propria cifra stilistica, come Kafka, o chi, con le manette ai polsi, ha dovuto rinunciare a scrivere (il Dostoevski di Netocka Nezvanova, nel caso ve lo steste chiedendo). La Seconda Guerra Mondiale, tra le altre sciagure, impedì a Gadda di terminare La Cognizione del Dolore. Autori celebri o sconosciuti potrebbero aver abdicato di fronte a capolavori talmente colossali da risultare intollerabile anche solo pensare di metterli su carta. Di queste opere ancor più che incompiute, ma solo immaginate o immaginarie, non sapremo mai nulla: parlarne non è lecito. Parleremo invece, nei prossimi mesi, di Kafka, di Dickens, di Hemingway, di Fitzgerald… L’elenco è provvisorio e incompiuto, e il perché è persino ovvio.

 

Federico Leoni è nato a Roma nel 1977. Giornalista, è caporedattore a Sky Tg24. Nel 2013 è uscito il suo primo romanzo, Starry Night (Edizioni Ensemble).