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Nelle vite d’altri

“Autoritratto di Goffredo Petrassi” di Carla Vasio

di Veronica Giuffré / 25 gennaio

Esiste un confine oltre il quale non è dato spingersi per dare voce al ricordo di una storia che non è la propria? Non è semplice restituire attraverso le parole un’esistenza votata all’arte, tanto più se si tratta di quella di un compositore come Goffredo Petrassi che ha segnato nel profondo il Novecento musicale italiano ed europeo. Ma se a trasferirla sulla pagina è la penna finissima di Carla Vasio, quello che emerge è un ritratto che somiglia alla vita, pur procedendo al ritmo di un romanzo.

Non a caso Autoritratto di Goffredo Petrassi inaugura la collana “Diorami”, pregevole operazione dell’editore modenese Mucchi che attinge alle quinte della letteratura per riportare alla luce “Testi su artifici, mondi nuovi e altre invenzioni” – come recita il sottotitolo – a metà tra il rigore del saggio e l’invenzione letteraria. Apparso per la prima volta nel 1991 per Laterza – in un’edizione la cui paternità era attribuita allo stesso Petrassi «perché l’editore riteneva che così si sarebbe venduto meglio» – l’Autoritratto è ora tornato in libreria in questa nuova veste che restituisce il merito alla sua vera autrice e si apre con una prefazione a firma di Claudio Morandini, illuminante sul legame di affetto e sincera ammirazione che ha unito la scrittrice al compositore per una vita.

Dalla trasposizione sulla pagina dei frammenti di una lunga conversazione tra amici scaturisce questo Autoritratto appassionante, e a leggerlo sembra di stare seduti accanto al Maestro e di vederlo, ormai anziano, dietro i suoi occhiali dalle lenti spesse come fondi di bottiglia, mentre racconta la storia di una lunga vita che è stata così piena da non dargli rammarico per quello che non può più leggere né per aver dovuto smettere di comporre. Petrassi appare sincero quando dice di non essere un uomo più speciale di altri, seppure riconosca di aver vissuto un’esistenza straordinaria.

«Se dovessi dire come tutto è cominciato, racconterei di un ragazzino di dieci anni arrampicatosi su un albero di mele cotogne a cantare il Rigoletto»: un incontro con la musica che passa attraverso il canto, non soltanto delle arie d’opera più celebri, ma soprattutto grazie alla vivace tradizione di canti popolari assimilata dalla madre. Poi, a Roma, dove la famiglia si trasferisce da Zagarolo per sfuggire alla povertà, l’occasione del tutto casuale di trovare la propria strada, con l’impiego per un negozio di dischi in via della Stelletta: «È un lavoro molto particolare quello del commesso, perché mette a contatto con le più varie categorie sociali e con i più diversi tipi umani: stai dall’altra parte del bancone, li osservi e fai delle considerazioni che non è il caso di esprimere. Si imparano molte cose: ad ascoltare gli altri, a rispettare le opinioni altrui, a essere prudente nel parlare». La Roma degli anni Venti è una città che poco somiglia all’asfissiante agglomerato umano dei nostri giorni, e diventa il centro nevralgico da cui Petrassi ha l’opportunità di portare a frutto le proprie inclinazioni artistiche, lavorando sodo fino a conoscere la fortuna.

«Ascoltare la musica, pensare alla musica, essere imbevuto di musica, questo è il senso della vita»: un credo esistenziale che trova il suo alimento nella curiosità che lo ha spinto a ricercare la bellezza in ogni campo della cultura, con la vivacità di chi ha costruito da sé le proprie basi: «Ho trovato una grande ricchezza nel mio tirocinio di autodidatta, perché mi ha permesso di curiosare nei campi più diversi, più disparati, senza guida, senza programmi: un andare alla ricerca di quello che mi era veramente necessario. Sembra di perdere tempo, ma [quello] che ti rimane lo hai scoperto da solo senza che nessuno ti abbia non dico imposto ma neppure suggerito niente: è una tua conquista, è diventato tuo».

È un racconto che procede per divagazioni e scarti, tipici di un flusso di memoria, tra i quali Carla Vasio riesce a fare ordine e infondere grazia, senza che l’autenticità del ricordo personale risulti offuscata. Incontriamo Goffredo Petrassi in compagnia di tutti gli amici artisti – non solo musicisti, ma anche letterati e pittori – e ripercorriamo la genesi delle sue opere, tanto di quelle compiute quanto dei progetti mancati; lo vediamo tra le aule affollate del Conservatorio a esercitare la sua professione di insegnante con dedizione e in maniera non convenzionale, ribadendo con il suo metodo l’idea che il più alto affinamento tecnico non possa prescindere dall’attenzione all’«elemento umano su cui fondare la vita e il sapere». Lo seguiamo alla ricerca di una propria voce, pur appartenendo alla sensibilità della sua epoca, sempre interessato all’ascolto e alla composizione di «opere uniche, che non fanno scuola»; ripercorriamo i suoi successi senza dimenticare i momenti più bui, tra cui la condanna da parte del regime nazista che considerava la sua arte come degenerata.

Autoritratto di Goffredo Petrassi è un’opera che si fa apprezzare per il suo interesse storico, ma che si legge con lo stesso godimento di un viaggio sentimentale nella musica del Novecento. È la testimonianza preziosa di un fermento artistico che appare lontano, da cui trarranno molto stimolo e conforto tutti quei lettori che credono ancora che la cultura sia «un rifugio, forse l’unico rifugio per le persone sensibili».

 

(Carla Vasio, Autoritratto di Goffredo Petrassi, Mucchi Editore, 2017, pp. 179, euro 15,00)

LA CRITICA - VOTO 8/10

Una storia appassionata del Novecento musicale che rivive sulla pagina grazie a una penna elegante, capace di restituire la vita straordinaria di un uomo comune.