Libri
L’arte di inventare storie
“Morfisa o l’acqua che dorme” di Antonella Cilento
di Antonio D’Ambrosio / 19 giugno
La bella immagine di copertina dell’ultimo libro di Antonella Cilento, Morfisa o l’acqua che dorme (Mondadori, 2018), ci pone di fronte a una questione: la storia che contiene è altrettanto accattivante? Per rispondere, non ci resta che iniziare a leggere le quattrocento pagine di cui è composto il romanzo e lasciarci trasportare nella Napoli di «mille anni fa», all’epoca del ducato bizantino, quando a Teofanès, poetastro senza il dono della scrittura, che avrebbe preferito rimanere nella sua città con l’amato Costantino a scrivere versi, le Imperatrici di Bisanzio ordinano di «trasportare un utero fresco a Costantinopoli». Sfortunatamente, dopo i tre insopportabili mesi di viaggio, giunti al porto, al grido dei pescatori «Vottate!», viene scaraventata ai piedi dei messi bizantini la testa mozzata di una fanciulla: si tratta di Crisorroè, la figlia del duca Giovanni che sarebbe dovuta partire per Bisanzio. Chi l’ha uccisa? Perché?
Iniziano a questo punto le odissee del povero Teofanès, che finisce a turno nelle mani di salernitani, normanni, arabi, amalfitani, Longobardi, in compagnia della Teotokòs, la «Maronnella» Morfisa, l’altra figlia del duca napoletano, dai piedi monchi e dalla pelle scura, che dovunque è venerata per i suoi poteri miracolosi. Dall’aspetto proteiforme, Morfisa è l’unica in grado di proteggere Napoli, custodisce l’«ovo» che fa salva la città (lo stesso che contiene il segreto dell’arte di inventare storie, tanto agognato dal poeta bizantino) e conosce l’antica Arte dell’acqua, per secoli «tramandata da Sibille e Custodi».
Abbandonata in parte la trama picaresca del precedente Lisario o il piacere infinito delle donne, Cilento stavolta non lavora solo da scrittrice, bensì da architetto professionista, per costruire un’impalcatura narrativa di foggia prettamente ariostesca, in cui riesce a gestire e incastrare più storie e a far susseguire una lunga teoria di personaggi. E si diverte anche a giocare con il tempo, per cui in una manciata di pagine ci ritroviamo dal Giappone medievale al terremoto del 1980.
Tra le grandi protagoniste del romanzo vi è, ancora una volta, Napoli, descritta nelle sue bellezze con intensa e visibile emozione, presentata come grande polo attrattivo di interessi politici – del papato, dell’impero bizantino, dei normanni, dei longobardi, dei saraceni – e religiosi – nell’eterno conflitto tra le seguaci di San Gennaro e quelle di San Virgilio. Una città in cui realtà e magia si mescolano in maniera inscindibile, in cui le «femmine» possono governare senza il bisogno degli uomini, in cui tutto può accadere. Persino ciò che poco convincerebbe la nostra immaginazione (come le monache che in una scena apocalittica presero il volo e «pisciarono sulla testa dei soldati. E tanto pisciarono che gli incendi si fermarono») viene narrato con una naturalezza tale da non destare scandalo.
Con questo romanzo, Antonella Cilento si conferma quale valevole voce della narrativa italiana contemproanea, abilissima maestra di scrittura, madre di una prosa sublime ed estremamente raffinata che mescida con destrezza italiano e napoletano. E nella consapevolezza della materia che governa (cita addirittura le fonti del suo libro), cerca di spiegare anche a noi l’arte di inventare storie: «Alla fine, una certa combinazione di lettere, spesso casuale, compone il destino degli esseri umani, raccontare storie è come giocare ai dadi; con studio e metodo è possibile prevedere le combinazioni utili e vincere. Però vincere non è tutto».
(Antonella Cilento, Morfisa o l’acqua che dorme, Mondadori, 2018, pp. 408, euro 20)
LA CRITICA - VOTO 9/10
Oltre alla trama avvincente, sono due gli elementi che rendono questo libro un pregevole romanzo: il prodigio dell’intreccio e la perfezione della lingua.