Cinema
Sconfiggere i mulini a vento
"L’uomo che uccise Don Chisciotte" arriva dopo 25 anni
di Francesco Vannutelli / 6 ottobre
Don Chisciotte, o meglio L’uomo che uccise Don Chisciotte, è il fantasma che ha accompagnato l’ex Monthy Python Terry Gilliam per tutta la sua carriera da regista. Ci sono voluti venticinque anni perché il film vedesse le sale. Venticinque anni in cui la sceneggiatura e il cast sono cambiati, ma non la determinazione di Gilliam di vedere il suo progetto diventare realtà.
Nel 2000, L’uomo che uccise Don Chisciotte avrebbe dovuto vedere Jean Rochefort nei panni del personaggio di Cervantes e Johnny Depp in quelli di Toby Grisoni, un uomo del ventunesimo secolo che si trova all’improvviso indietro nel tempo e viene scambiato dal cavaliere per il suo scudiero Sancho Panza. Di quel primo progetto rimane un documentario, Lost in La Mancha, che racconta le enormi difficoltà che portarono all’annullamento della produzione, tra nubifragi, allagamenti e la malattia di Rochefort. Dopo una lunga pausa dovuta a problemi legali e finanziari per ritrovare un budget, Gilliam ha ripreso in mano il film nel 2017 chiamando Jonathan Pryce come Chisciotte e Adam Driver nei panni di Toby Grisoni.
Grisoni è un regista di spot pubblicitari al lavoro su un set in Spagna. Durante una cena ritrova il dvd del suo primo film, una versione del Don Chisciotte di Cervantes realizzata senza attori professionisti. Ritornando sui luoghi del film viene a sapere che il vecchio calzolaio che aveva interpretato Chisciotte è impazzito ed è rimasto prigioniero del personaggio. Quando lo ritrova diventa, suo malgrado, il suo Sancho Panza in una serie di avventure.
Il Don Chisciotte di Cervantes (ma lo ha scritto davvero lui?) è solo il punto di partenza per Gilliam per riversare sullo schermo tutta la sua fantasia visionaria. Fedele alla sua idea di cinema fantastico popolato di ultimi incompresi, di cavalieri disarcionati e sognatori insonni, Terry Gilliam ha trasformato L’uomo che uccise Don Chisciotte in un racconto metacinematografico sul senso che questo progetto/sogno ha avuto nella sua carriera.
C’è un’immedesimazione forte del regista con il cavaliere dalla triste figura, nella sua lotta contro i mulini a vento, nel suo vedere il mondo per quello che non è. L’ostinazione del Chisciotte calzolaio di rifugiarsi in un mondo di dame e castelli, di antichi valori, lontano dalle logiche del mondo, è la stessa di Gilliam che combatte per il suo film incurante di tutto il mondo esterno, delle questioni legali, delle ragioni economiche.
Il regista ci mette tutto se stesso per dare finalmente corpo al suo sogno. Nei momenti migliori, L’uomo che uccise Don Chisciotte riporta agli antichi fasti il talento immaginifico di Gilliam, supportato da delle location incredibili scelte in giro per la Spagna e dall’impegno dei due protagonisti. Troppo presto, però, il film sembra perdere una direzione precisa, un’identità, un senso. Realtà e fantasia iniziano a sovrapporsi senza continuità logica, le suggestioni si ammassano una sopra l’altra, nascondendosi a vicenda, confondendosi, perdendosi.
Le migliori intenzioni vengono presto annegate dalle troppe idee e suggestioni che inondano lo schermo senza nessuna diga. Le varie dimensioni del film – letteraria, cinematografica, metacinematografica, personale – diventano un semplice pretesto per dare sfogo a una fantasia troppo a lungo repressa. Dopo averlo cullato per venticinque anni, il Chisciotte di Gilliam è diventato una creatura smisurata e incontrollabile
(L’uomo che uccise Don Chisciotte, di Terry Gilliam, 2018, avventura, 132’)
LA CRITICA - VOTO 5,5/10
Dopo venticinque anni di sofferenza, Terry Gilliam è finalmente riuscito a portare sullo schermo il suo progetto della vita, L’uomo ch uccise Don Chisciotte. Un sogno coltivato troppo a lungo, cresciuto a dismisura, sproporzionato e incontrollabile.