Cinema
Oltre l’orrore, verso l’arte
Luca Guadagnino firma il suo "Suspiria"
di Francesco Vannutelli / 18 gennaio
Nella sua recensione per il New Yorker, Richard Brody non usa parole lievi per Suspiria, il remake filmato Luca Guadagnino del cult di Dario Argento del 1977. Sono due i commenti che lasciano il segno, tra i tanti. Il primo, che è diventato anche il titolo dell’articolo, riconosce al film «la stessa sostanza politica di una maglietta del Che fatta da un marchio di moda». Il secondo liquida i tentativi di uscire dal puro genere verso più ampi territori cinematografici come «superficialità da Wikipedia».
Il commento del New Yorker è solo uno dei tanti esempi dell’accoglienza senz’altro particolare che la stampa mondiale, e il pubblico, hanno riservato e stanno riservando al Suspiria di Guadagnino. Accolto tra gli applausi a Venezia, il film sembrava destinato a un consenso collettivo. Invece, prevale la perplessità, se non addirittura il fastidio. Con Guadagnino le cose vanno così, spesso. Era già successo con A Bigger Splash, ma sembrava che il successo di Chiamami col tuo nome avesse ormai consegnato il regista a un livello superiore di considerazione.
È chiaro che quando si vanno a scomodare dei film oggetti di culto ci si espone alla furia degli appassionati. Suspiria, l’originale di Dario Argento, ha fatto la storia del cinema per l’incredibile uso di luce e colori messo a punto con il direttore della fotografia Luciano Tovoli. Un capolavoro visivo, destinato a influenzare vari strati dell’immaginario pop negli anni a seguire. È stato lo stesso Argento a cedere i diritti per il remake dieci anni fa (insieme a quelli di un altro pilastro della sua filmografia, L’uccello dalle piume di cristallo). I produttori ci hanno pensato a lungo prima di trovare un progetto adeguato per rilanciare il mito. Si era parlato di David Gordon Green alla regia (ha diretto Strafumati e Lo spaventapassere, ma anche l’ultima versione di Halloween) e poi di una serie tv. Si è arrivati, alla fine, a Guadagnino, un regista il cui stile e la cui estetica sono chiari e distanti dal modello di Argento.
Del film originale sono rimaste le premesse e poco altro. Non siamo più a Friburgo ma nella Berlino divisa del 1977. La giovane ballerina Susie Bannion arriva dagli Stati Uniti rurali per un provino con la compagnia di ballo Markos. Il suo talento emerge in fretta e colpisce l’attenzione della coreografa Madame Blanc. Susie diventa la protagonista dello spettacolo che stanno preparando e, soprattutto, l’oggetto dell’attenzione di tutte le insegnanti, streghe che cercano di mantenere in vita la fondatrice della scuola, Helena Markos, attraverso il corpo di giovani ballerine. Intorno alla scuola di danza si muove uno psicanalista, il dottor Josef Klemperer, che ha in cura una allieva sparita misteriosamente.
Guadagnino e lo sceneggiatore David Kajganich hanno allungato, spostato, approfondito e trasformato il film originale. Dai 98 minuti di Argento siamo arrivati ai 152 di questa nuova versione. Dalla realtà chiusa intorno alla scuola siamo arrivati a un mondo in pieno tormento di tensioni violente. Sullo sfondo della Berlino divisa scorre il terrorismo della banda Baader-Meinhof, il dirottamento del volo Lufthansa LH181 da parte di un commando palestinese, i ricordi della seconda guerra mondiale e della Shoah.
Sembra quasi che gli autori di questo Suspiria abbiano cercato di portarsi il più lontano possibile dall’originale, di andare in altre direzioni, tutte le altre direzioni possibili per evitare il confronto o i riferimenti troppo diretti. Del resto, Argento stesso dopo averlo visto ha riconosciuto che la versione di Guadagnino prende solo un vago spunto dal suo film. Niente di più. E allora che senso ha concentrare le analisi su un confronto? Qual è il senso di liquidare questo Suspiria 2018 come la versione consumistica e glamour della rivoluzione? Non è chiaro.
Il film di Guadagnino merita tutta la considerazione di una visione non influenzata da confronti. E questo Suspiria è un’opera complessa, strutturata, visivamente affascinante, sicuramente carica di ambizione. I riferimenti alla Storia servono a collocare la vicenda all’interno di una riflessione più ampia sul senso del Male che va ben oltre i confini del genere horror. Per questo, probabilmente, ha deluso un’ampia parte degli spettatori, ma aspettarsi da un regista di questo tipo il semplice film dell’orrore, con tutto il rispetto per il genere, era una follia.
Guadagnino ha messo in chiaro nelle immagini il senso di questa nuova versione (molto interessante, in questo senso, l’analisi di Adriano Ercolani su minima & moralia). L’ampio spazio riservato alla psicanalisi e al dottor Klemperer serve a esplicitare il significato profondo della ricerca di figure materne, non solo di Susie, ma di tutti i personaggi coinvolti. La stessa ambiguità fisica di Klemperer, interpretato da Tilda Swinton straordinaria nei suoi tre diversi ruoli ( gli altri sono Blanc e Markos), conferisce ulteriore valore alla ricerca di sicurezza nella figura dell’analista, oltre al transfert che viene suggerito da uno dei libri che si vede nel suo studio, esattamente La psicologia del transfert di Jung.
Due archetipi fondamentali come il Male e la Madre fanno da fondamenta a un film che si nutre di simboli e di spinte intellettuali, in cui ogni elemento concorre alla costruzione di una riflessione che richiede una visione attenta, possibilmente ripetuta, per essere compresa. Freddo , rigoroso e sontuoso nella sua messa in scena, Suspiria si scatena nella danza, veicolo di violenza e trasformazione alimentato dalla colonna sonora incredibile di Thom Yorke, così profondamente collegata alle immagini da diventare un elemento della regia prima ancora che della visione.
Il Suspiria di Dario Argento è stato un film fondamentale. Guadagnino ha avuto l’ambizione di fare un’opera d’arte.
(Suspiria, di Luca Guadagnino, 2018, horror, 152’)
LA CRITICA - VOTO 8/10
Senza cercare il confronto con Dario Argento, Luca Guadagino ha fatto con il suo Suspiria un’opera d’arte complessa e stratificata più vicina al cinema di David Lynch che agli standard del cinema horror.