Libri
Maestro americano
L’importanza di Sherwood Anderson
di Francesco D’Onghia / 20 maggio
Spesso si cita Sherwood Anderson (1876-1941) soltanto per riferirsi a un autore capace di influenzare la fortuna letteraria di altri ben più conosciuti al grande pubblico. È così che si definisce Anderson come il precursore di Hemingway e Faulkner, anche se il primo, nell’esigenza di sottolineare la sua ormai acquisita indipendenza, arriverà a parodiarne lo stile dopo la pubblicazione di Riso nero (1925) con il suo Torrenti di primavera (1926).
Eppure già da molti decenni la critica americana riconosce l’assoluta centralità della sua opera. Per comprendere fino in fondo questa importanza basti considerare il tempo e il luogo della sua nascita: settembre 1876, Camden, Ohio. Il giovane autore, terzo di sette figli, si trova dunque a vivere un’epoca segnata dal radicale cambiamento degli Stati Uniti. Un mutamento sia sociale sia soprattutto economico con il passaggio dalla «repubblica rurale» (A.a. V.v. Storia degli Stati Uniti, ed. Einaudi, 1964) secondo la visione del presidente Thomas Jefferson a potenza industriale capace di imporsi su scala globale. A partire da allora infatti i piccoli villaggi del Middle West popolati da campagnoli, droghieri e reverendi non costituiscono più il centro vitale del Paese perché oramai l’epica americana si è spostata verso i maggiori centri industriali dove nelle fabbriche trovano impiego quasi tutti i suoi figli.
Come sostiene Irving Howe: «Il Paese stava sperimentando quello che lui [Sherwood Anderson] avrebbe in seguito definito “un’improvvisa e quasi universale trasformazione dalla vecchia società artigianale alla nostra moderna società industriale”». Lo stesso Anderson, dopo essersi cimentato in gioventù in diversi lavori e servito l’esercito americano nella guerra ispano-americana (1898) si stabilì con la moglie nella città di Elyria, Ohio per dedicarsi agli affari, attività solida e profittevole che abbandonò pochi anni dopo per stabilirsi a Chicago e dedicarsi alla scrittura. Qui incontrò autori che appartengono a quella che verrà successivamente definita la Chicago Renaissance: Edgar Lee Masters, Theodore Dreiser, Ben Hecht, Carl Sandborg e nel 1916 diede alle stampe il suo primo romanzo: Windy McPherson’s Son, in parte autobiografico, dove il protagonista, Sam McPherson, abbandonata la provincia per Chicago, ricerca un significato alla propria esistenza attraverso gli affari e la difficile relazione con la moglie Sue Rainey.
Sarà proprio la provincia, protagonista della civiltà americana preindustriale e colta oramai nel suo progressivo svuotamento demografico ed economico, lo sfondo principale scelto da Anderson per la sua opera migliore e più celebrata: Winesburg, Ohio (1919). Ispiratosi alla Clyde dove trascorse la prima giovinezza questa cittadina immaginaria, Winesburg, come pure di fantasia sarà la futura Contea di Yoknapatawpha di Faulkner, diventa il simbolo di quel mondo tradizionale in declino.
Protagonisti di questa fine lenta e senza fragore sono i pochi abitanti tra cui spicca il giovane George Willard, cronista del giornale cittadino, ideale coetaneo di Anderson e filo conduttore della serie di racconti in cui si raccolgono le varie confessioni. In ciascuna di esse incontriamo una serie di figure molto diverse tra loro: dalla madre di George, che sognava un futuro nel mondo dello spettacolo, al forestiero del famoso “Tandy”, da Alice Hindman, delusa dal primo amore, al reverendo Curtis Hartman ossessionato invece dal bel corpo di Kate Swift. Questi «meravigliosi provinciali» secondo l’espressione utilizzata da Cesare Pavese in La letteratura americana e altri saggi (ed. Einaudi, 1990) sono tutti diversi per età, sesso e ruolo sociale e apparentemente bidimensionali giacché di loro spesso conosciamo soltanto il nome e la professione, eppure in ciascuno emerge una sorprendente, prepotente, interiorità che li isola, seppure per un breve istante, distintamente come individui. È il caso della già citata Alice Hindman, abbandonata dall’innamorato, che cela sotto i panni della dimessa commessa di un negozio un irrefrenabile desiderio d’amore, oppure del fattore Ray Pearson disperato nella sua condizione di padre e marito rimasto «fregato dalla vita».
Scrive a proposito il già richiamato Irving Howe «Figure come il Dr. Parcival, Kate Swift e Walsh Williams non sono e non sono destinate ad essere “personaggi a tutto tondo” come è lecito aspettarsi in un romanzo realista; esse sono frammenti di vita, scorti per un istante, le macerie della sofferenza e della sconfitta. In ciascuna storia uno di loro emerge, timidamente o con una falsa sicurezza, alla ricerca di fratellanza e amore, quasi impazziti dalla ricerca di un contatto umano. Nel contesto di Winesburg, questi “grotteschi” non sono importanti come personaggi a sé quanto piuttosto come sintomi o esempi di quella “fame indefinibile” di senso che è la vera preoccupazione dell’autore».
Tante sono le analogie tra i «grotteschi» di Winesburg e le malinconiche anime di Spoon River. Proprio l’attenzione all’interiorità delle sue figure rappresenta un elemento cardine dello stile andersoniano, stile che trova la sua più efficace espressione nel genere qui utilizzato dall’autore: una raccolta di racconti.
È del racconto infatti che Sherwood Anderson sarà riconosciuto già allora dai contemporanei l’indiscusso “Maestro americano”. Una fortuna tale da oscurare i successivi romanzi tra cui Molti matrimoni (1923) e Riso nero (1925). Nessuno di essi infatti, nelle parole di critici e lettori, riuscirà più a superare Winesburg che sarà riconosciuto come assoluto modello del suo genere.
Così, secondo quanto riportato dalla voce Modernists Portraits: Sherwood Anderson in Annenberg/PBS project “American Passages”: «L’opera [Winesburg, Ohio] aveva applicato alcune delle tecniche sperimentali del Modernismo (prospettive multiple e in particolare l’interesse per l’introspezione psicologica) al racconto e aveva incontrato l’elogio dei critici per il realismo e l’innovazione. Lo stile di Anderson è semplice, nonostante la complessità dei temi; seguendo le vite di personaggi repressi da una società indifferente ai bisogni individuali, le storie rivelano il tumulto interiore di questi in conflitto con le aspettative della società. Recensendo Winesburg, Ohio un critico del Chicago Tribune aveva notato che “Sherwood Anderson è spesso crudo nel linguaggio, non ha un senso estetico del valore delle parole; ma ha un’ intensa visone della vita, è un cauto e acuto osservatore e ha registrato qui un estratto di vita che dovrebbe proiettarlo alla pari dei più importanti scrittori contemporanei del Paese”».
Ancora Martha Curry in The Heath Anthology of American Literature, A.a. V.v. scrive: «Anderson diede il suo grande contributo alla letteratura americana nel genere del racconto […].Inoltre Winesburg non è una collezione di racconti isolati ma è una raccolta di racconti, un ciclo di storie che nelle parole dell’autore “si intrecciano l’un l’altra”. In Winesburg, oltre al fatto che le singole storie posseggono ciascuna una propria bellezza e unità il ciclo stesso acquista una propria integrità artistica grazie alle reciproca relazione tra di loro. Esempi di cicli di racconti americani che seguirono Winesburg sono In Our Time di Hemingway, Cane di Toomer, Georgia Boy di Caldwell, Gli invitti e Go Down, Moses di Faulkner».
Il lettore che ha familiarità con tutta la letteratura americana successiva non avrà a questo punto difficoltà a riconoscergli quella stessa importanza che la critica statunitense oggi gli tributa e che è ben riassunta nelle parole di W. Faulkner: «[Sherwood Anderson] Fu il padre di tutta la mia generazione di scrittori».