Cinema
Cinecomic che non lo sono
Sul Joker di Phoenix e Philips
di Francesco Vannutelli / 19 ottobre
Del Joker Todd Philips si è iniziato a parlare ben prima dell’inaspettato Leone d’oro a Venezia 2019. C’era attesa, per questo strano incontro tra uno dei registi di punta del cinema demenziale statunitense e Joaquin Phoenix, uno dei più grandi attori di questa generazione. C’era attesa per l’ennesimo tentativo della DC Comics di trovare una propria strada cinematografica, dopo le generali reazioni tiepide ai grandi blockbuster (fa eccezione Wonder Woman). C’era attesa per il presunto coinvolgimento di Martin Scorsese come produttore, per Robert De Niro in un ruolo finalmente non imbarazzate. C’era attesa per lo scavo in uno dei personaggi più interessanti e complessi della storia dei fumetti, interpretato al cinema (quasi) sempre da grandi interpreti, l’unico ruolo di un cinecomic premiato con l’Oscar, quello postumo a Heath Ledger per Il cavaliere oscuro di Christopher Nolan.
Era chiaro sin dalle premesse, in sintesi, che sarebbe stato un film molto discusso. Il premio veneziano ha amplificato le attese e catalizzato le attenzioni. Non c’è un’opinione unanime della critica, con i giornalisti statunitensi molto perplessi e quelli europei più entusiasti. Il pubblico ne ha già sancito il successo e lo status di capolavoro assoluto, già entrato nella decina di film più votati sull’aggregatore IMDB. È fuori di dubbio che Joker sia un oggetto cinematografico particolare, per ora unico nel suo genere.
Non si tratta del classico cinecomic, non si tratta di un film d’autore. Siamo di fronte a qualcosa di diverso. Philips ha scritto il film insieme a Scott Silver immaginando uno spunto completamente nuovo per la nemesi di Batman. Il protagonista si chiama Arthur Fleck – personaggio inedito per l’universo fumettistico –, è un aspirante comico che lavora per una compagnia di clown. È un alienato sociale, con disturbi psichici, preda di incontrollabili attacchi di risate quando è sotto pressione. Vive con la madre malata ossessionata dalla famiglia Wayne e sogna di partecipare allo show del presentatore Murray Franklin. Dopo aver perso il lavoro la sua paranoia cresce in una spirale incontrollabile.
È da qualche anno che i registi di punta del cinema demenziale si divertono a spiazzare Hollywood. Lo ha fatto Adam McKay con La grande scommessa prima, lo fa Todd Philips adesso. Joker spazza via le regole del cinecomic rifiutando tutte le caratteristiche del genere: manca l’azione, mancano gli effetti speciali, mancano i combattimenti. Al centro c’è lo scavo psicologico, come e molto di più di altri altri cinefumetti meno convenzionali come la trilogia del Batman di Nolan, Spider Man 2 di Sam Raimi o Iron Man 3.
Grazie all’alleanza con Joaquin Phoenix, autentico motore del film con il suo corpo e l’ennesima performance di altissimo livello della sua carriera, Todd Philips ha creato qualcosa che vuole presentarsi come completamente inedito.
Joker è un film a tutti gli effetti drammatico, senza dinamiche di thriller o di spettacolo. La discesa nella pazzia di Fleck è cruda, spietata, disperata. Poteva essere tranquillamente un film senza nessun legame con il mondo dei fumetti. Più che i classici cinecomic vengono infatti in mente alla visione film come Taxi Driver, Re per una notte, Quinto potere, Requiem for a Dream, o anche A Beautiful Day di Lynne Ramsey, sempre con Phoenix premiato a Cannes 2017 per la sua interpretazione. Tutti film di paranoia e degrado.
Questo per dire che non c’è poi chissà quale idea innovativa nella storia di Arthur Fleck. La sua grandezza, e l’enorme attenzione che sta ricevendo, sono dovute esclusivamente alla decisione di collocare un film che poteva essere benissimo altro nella categoria cinecomic.
Todd Philips ha sfruttato il successo dei film tratti dai fumetti per attirare un pubblico molto più vasto verso quello che è, nell’impostazione, un film indipendente sul disagio. In questo modo, però, non è riuscito ad andare davvero da nessuna parte – tranne a vincere Venezia e incassare già dieci volte in più di quanto il film sia costato, minuscoli dettagli. Joker si allontana dal cinecomic classico, prova la strada del cinema d’autore, poi si ferma indeciso. Rimane in superficie senza approfondire nessun argomento, che sia la pazzia, che sia la società, che sia la natura del protagonista. È un film pieno di momenti e spunti con un potenziale altissimo, ma che restano alla fine isolati l’uno dall’altro.
Per questo le varie definizioni e mini recensioni che si stanno inseguendo sui social in questi giorni non hanno particolare senso – “pugno allo stomaco”, “analisi della società statunitense”, “capolavoro totale” – non hanno basi stabili su cui poggiarsi. Alla fine, Joker è – solo – una interessante nuova forma di intrattenimento.
(Joker, di Todd Philips, 2019, drammatico, 122’)
LA CRITICA - VOTO 7/10
Joaquin Phoenix diventa Joker in un film che scende la via comoda del mainstream per ricevere più attenzione di quella che avrebbe avuto se si fosse presentato per quello che è: un film indipendente ben fatto sul disagio psichico.