Altre Narratività
Sanremo 2035
Cosa è successo in quest'edizione?
di Luigi Ippoliti / 13 febbraio
È finita l’85esima edizione del Festival di Sanremo. Come ogni anno finalmente ci siamo scrollati di dosso questa assurda discesa verso gli inferi, questa settimana dove tutto può accadere, dove tutto deve accadere, dove si parla di tutto e quando capita anche di musica; dove i media non fanno che gonfiarsi e i nostri Account monopolizzati da notizie, video, interviste, sondaggi, diventano estensioni delle nostre sinapsi e ci aggiornano costantemente per faci stare sempre sul pezzo durante gli aperitivi con gli amici.
Dobbiamo parlarne, parlarne, parlarne. Dobbiamo commentare, commentare, commentare.
Ne parliamo e lo commentiamo nonostante la crisi diplomatica che ci vede protagonisti con gli Stati Uniti, nonostante il Pil sia ai minimi storici, nonostante non abbiamo di fatto un Presidente del Consiglio. Ne parleremmo e lo commenteremmo anche sotto le bombe, non possiamo farne a meno. Perché, ammettiamolo, arrivati alla fine di questa settimana più che estenuante, il sentimento con cui abbiamo a che fare è la tristezza: Sanremo è ancora l’unico vero collante del popolo italiano, nazionale di calcio maschile a parte. L’unico momento in cui in qualche modo possiamo ancora poter dire a noi stessi di essere italiani, se dirlo ha ancora senso. Quando finisce Sanremo, finisce un pezzo d’Italia.
È così da quando esiste, lo è e non potrà che esserlo in futuro.
È successo un po’ di tutto, come ogni anno. Non sarebbe potuto essere diversamente. Ci sono state polemiche nei confronti di chi ha vinto, Ultimo, con le accuse di stupro dell’ex compagna (il discorso della Presidentessa della Repubblica Murgia contro la presenza del cantautore romano è già negli annali); nei confronti di chi ha partecipato, Tommaso Paradiso che sputa in faccia a Diego Fusaro nel backstage dell’Ariston, Katarro che dà della checca isterica a Ghali via twitter e Ghali che cambia testo nel finale di “Rogoredo” dandogli del mangiamerda; nei confronti di chi non ha partecipato, Fedez con il suo video insulto nei confronti di Chiara Ferragni che in poco più di un’ora aveva già 2 milioni di visualizzazioni, perché quella che era sua moglie, che guarda un po’ ha presentato questa sghemba edizione del Festival, ha deciso di non accettare la proposta della sua canzone (anche giustamente, possiamo dire senza alcun problema: “Cantami o diva”, il brano in questione, è un osceno pastrocchio di retorica e pressappochismo, meglio andare oltre).
Chiara Ferragni, insomma, che tutti davano come assoluto flop e che invece alla prova della presentazione del Festival di Sanremo se la cava più che degnamente. Ma perché essere così tirchi, perché sempre questi preconcetti nei confronti di Chiara Ferragni: se la cava alla grande, riuscendo a trascinare il pubblico senza eccedere, lasciata da sola a combattere contro la follia che accadeva attorno a lei. Senza accentrare su di sé l’attenzione, facendo finta che l’affaire Fedez non la coinvolgesse, lavorando a testa basta, portando competenza e gusto, unico spiraglio in un’edizione schizofrenica e, a tratti, lo diciamo senza farci troppi problemi, disgustosa. Per lei zero gaffe, zero polemiche. Grandissima professionalità. Chiara Ferragni, unica grande vincitrice di questo Festival. Chi se lo sarebbe aspettato, ricordando com’era agli esordi?
Ma, nonostante tutto quello che è successo, è stato un Sanremo nel ricordo, necessario, di Amadeus. Quella tragica notte di esattamente dieci anni fa (sì, sono passati già dieci anni) è ancora viva nella memoria di un popolo a volte dà per scontate troppe cose. Un dramma che ha creato un vuoto che non sapevamo essere così incolmabile, lasciandoci orfani di un personaggio che piano piano avevamo imparato ad amare. Quel tragico incidente alle porte di Genova mentre si recava con la moglie e Fiorello a una festa organizzata per festeggiare l’enorme successo di pubblico per il 74esimo Festival di Sanremo, ha segnato una crepa nella nostra memoria collettiva.
Amadeus, al quinto Sanremo consecutivo era entrato di diritto nell’immaginario comune come vero erede di Pippo Baudo, capace di aggregare milioni di italiani davanti alla televisione. Amadeus, la sua voce iconica, simbolo della routine delle fine giornate di lavoro, del buttarsi sul divano dopo ore di fatica, al pari di quelle del compianto Fabrizio Frizzi o di Gerry Scotty; quella voce si è spezzata tragicamente una notte di febbraio lungo l’Aurelia e Sanremo l’ha ricordata nel peggiore dei modi possibili.
Il momento di raccoglimento struggente che ha visto apparire l’ologramma di Amadesus sul palco dell’Ariston nel buio di una sala in un silenzio irreale non è riuscito a fare a meno anche qui di polemiche. Due minuti di silenzio purissimo, interrotti dagli archi che hanno iniziato a eseguire Hallelujah di Leonard Cohen, a cui è seguito un applauso scrosciante di quasi tre minuti, interrotto come una mannaia a sua volta dalla pubblicità, partita si dice accidentalmente, che ha fatto infuriare gli abitanti del web – c’è chi dice che Acqua Lete abbia messo in ballo una cifra importante per apparire in quel preciso istante e che fosse tutto organizzato etc etc. Ma ci sorprende questa cosa?
È stato anche il Festival segnato dal ritorno di Fiorello, che da quella tragica notte ha bazzicato le televisioni davvero a intermittenza. Anche andando a memoria, è difficile contare con una mano quante volte lo abbiamo visto in Tv o su internet. Sicuramente questa volta lo abbiamo visto invecchiato, claudicante e con una voce quasi afona che ha accompagnato le due sole parole pronunciate dal palco, “Scusa Ama” e nient’altro. Grande commozione tra il pubblico in sala e a casa. Ci ha fatto pena vedere quell’animale da palcoscenico ridotto così, un piccolo insetto, una mosca intrappolata in un bicchiere fatto di rimorso e dolore che non andrà mai via.
Povero Fiorello.
Povero Fiore.
Povero Ama.
Ma purtroppo bisogna andare avanti.
La musica. È il Festival della musica italiana e quindi potremmo, anzi dovremmo, parlare di musica.
Dovremmo pensare di parlare di musica, di canzoni, di qualità. Di chi ha fatto bene e chi no. Di chi ha meritato e chi no. Ma siamo sicuri che non tiri di più altro, tipo la proposta di matrimonio sul palco di Zitelli a Francesca Michelin e il suo rifiuto che ha raggelato l’Ariston e la faccia incredula, pietrificata di Zitelli che poi scappa dietro le quinte, viene seguito dalle telecamere che lo inquadrano mentre si siede per terra e scoppia in un pianto quasi mistico e Michelin dall’altra parte che non sa che fare e dalla regia, non si sa per quale motivo – a) per il momento b) c’è un’orchestra – parte la Marcia Nuziale? Tutto fa brodo, tutto fa traffico.
Dovremmo quindi parlare della vittoria di Ultimo con “Baciamoci come nel 2022”, tralasciando i problemi giudiziari, concentrandoci sui più che legittimi dubbi su un pezzo mediocre (ancora la trap?!) che comunque conferma l’artista romano come uno dei più amati, se non il più amato, degli ultimi vent’anni. Potremmo parlare del duo Apriscatole al primo Sanremo big dopo la vittoria tra i giovani dello scorso anno, che ha portato uno dei brani più interessanti dell’intero festival, “Saluti da Marte”, un elettro rock sperimentale imbevuto di contaminazioni afro che si posiziona ingiustamente al nono posto, e poi menzionare la loro struggente cover di “Non mi avete fatto niente” di Meta e Moro durante la serata delle cover, con la sola arpa di Edith Pritkch a sostenere le due voci.
Dovremmo parlare del secondo posto di Mahmood, ed è la quinta volta che lui e Ultimo si alternano le prime de posizioni del podio. Mahmood, che dalla periferia di Milano ha conquistato l’Italia e non solo. Un numero di dischi d’oro incalcolabile, e oggi la nuova canzone “Andiamo a vivere in limousine”, che quest’estate ci tormenterà in ogni stabilimento balneare italiano, da Cattolica fino a Pantelleria.
Oppure dovremmo parlare del terzo posto di un resuscitato Valerio Scanu, che non si esibiva da un’era geologica fa, non da quando da ragazzino cantava tutti i laghi tutti luoghi etc etc, ma da “Finalmente piove” nel 2016, e che si è presentato in Liguria con “Italia mia”, un pop leggerissimo con una spruzzata di qualunquismo e spirito di unità nazionale che si vede deve aver fatto breccia nel cuore dei telespettatori.
Dovremmo parlare anche del fatto che questa 85esima edizione è stata quella della nuova grande promessa della musica italiana, Cecilia, che con il suo brano “Divorzio da me”, quella strana combinazione di Mina e Eminem post rehab e un retrogusto tropicale, ha incantato una platea realmente inghiottita dalla sua voce strepitosa e, scusate la banalizzazione, fuori dal comune (possiamo scommettere sulla sua vittoria tra i big nelle prossime edizioni).
Dovremmo parlare dei Negramaro, e di quanto forse sia giunto il capolinea per la band di Giuliano Sangiorgi, suggerendogli magari di provarci di nuovo con la scrittura di sceneggiature, visto il notevole successo della serie Sky “La guerra è infinita”, scritta insieme a Valerio Lundini. La loro “Teresa”, che arriva giustamente ultima, è uno dei brani più insulsi, impalpabili, banali, di base uno dei brani più brutti che siano mai stati, nono solo portati a Sanremo, ma che siano stati mai scritti in Italia: «Sei la mia piccola / Piccola Teresa / E che posso dirti se / Se ti amo anche quando facciamo la spesa».
Dovremmo parlare di tutto questo, ma non lo facciamo. Perché la musica sì, ma non è poi così fondamentale. Perché in fondo ci piace guardare gente che litiga, che fa casino, che impazzisce. Perché, vi starete domandando. Lo sappiamo tutti il perché. Ma questo pezzo non finirà con perché Sanremo è Sanremo. No, non finirà così.
Crediti foto: Sanremo Promotion/La mia Liguria