Musica
Cinque canzoni di Fabrizio De André per i suoi ottant’anni
di Francesco Vannutelli / 18 febbraio
In occasione dell’ottantesimo compleanno ideale di Fabrizio De André abbiamo scelto cinque canzoni per ricordarlo diverse dai brani più popolari di Spotify.
Sono scelte meno scontate, che non trovate –sempre – nelle classifiche delle migliori canzoni di De André ma che hanno lo stesso valore artistico delle canzoni più celebrate.
I brani vengono da Storia di un impiegato (1973); Volume 8 (1975); Rimini (1978); Fabrizio De André (1981) e Anime salve (1996).
“La canzone del padre” – Storia di un impiegato – Fabrizio De André – Giuseppe Bentivoglio/Fabrizio De André – Nicola Piovani, 1973
Storia di un impiegato è l’album più smaccatamente politico di De André. Contestato dalla sinistra extraparlamentare e da colleghi cantautori come Giorgio Gaber, non riuscito, parzialmente rinnegato dal suo stesso autore che ammette di non essere riuscito a spiegarsi come avrebbe voluto, il concept scritto con Giuseppe Bentivoglio e Nicola Piovani ha comunque consegnato alla storia due canzoni: “Il bombarolo” e “Verranno a chiederti del nostro amore”.
“Canzone del padre”, invece, è un brano di passaggio, oscuro, criptico, denso di simbolismi. Ci si legge l’eterna inadeguatezza di De André nei confronti del mondo borghese. Qui si identifica più che mai nel bombarolo e nella sua incapacità di prendere il posto del padre nella società civile. Un’identificazione vissuta come un incubo da cui svegliarsi sudato, pronto ad andare avanti per la propria strada. E infatti la canzone successiva racconta il momento dell’attentato esplosivo.
“Canzone per l’estate” – Volume 8 – Fabrizio De André – Francesco De Gregori/Francesco De Gregori, 1975
Chi conosce bene sia De André che Francesco De Gregori ha con Volume 8 un rapporto ambiguo, sospeso tra delusione e amore. Non è un album del tutto riuscito e l’unica canzone si è iscritta nell’immaginario deandreiano collettivo è “Amico fragile”, scritta interamente da De André in un momento successivo al leggendario chiusone dei due cantautori in Gallura.
“Canzone per l’estate”, però, è la sintesi perfetta di tutto quello che quell’incontro avrebbe potuto produrre. È il brano in cui più di tutti si avverte l’influenza del giovanissimo De Gregori su De André, con il cantato meno impostato e il predominio delle chitarre acustiche.
La canzone è una critica della borghesia intellettuale comoda (De André la riconosce come una sua auto-critica), ormai incapace di slanci ideali e che si accontenta di «entusiasmi lenti» e di un «collezionismo di parole complicate».
Dopo Volume VIII lo stile di Fabrizio De André cambia: ci sono molti più Stati Uniti che Francia, molto più Dylan di Brassens, ma anche del già conosciuto e apprezzato Leonard Cohen. “Canzone per l’estate” serve proprio per capire questo passaggio.
“Rimini” – Rimini – Fabrizio De André – Massimo Bubola, 1978
Title track del primo album scritto in collaborazione con Massimo Bubola, “Rimini” sintetizza in modo unico i sogni frustrati del vivere in provincia.
Siamo in una Rimini crepuscolare che fa pensare subito ai Vitelloni di Fellini, ma anche a La prima notte di quiete di Zurlini e, in prospettiva, a Rimini di Pier Vittorio Tondelli. De André e Bubola raccontano la storia di Teresa, figlia di droghieri, che sogna un altrove ideale, che sia l’America di Colombo, la rivoluzione cubana o l’Harry’s Bar di Venezia, ma in fondo rimpiange di aver abortito il figlio del bagnino.
Siamo nel 1978, poco prima dell’esplosione dell’edonismo anni Ottanta, ma ci si legge già tutto.
“Hotel Supramonte” – Fabrizio De André – Fabrizio De André – Massimo Bubola, 1981
La canzone più dolorosa e personale di De André è, in realtà, una rivisitazione di “Hotel Miramonti”, un brano scritto ma mai inciso da Massimo Bubola.
“Hotel Supramonte” è l’elaborazione dei cinque mesi di prigionia di cui furono vittime Fabrizio De André e Dori Ghezzi tra agosto e dicembre del 1979. Legati l’uno all’altro con delle corde, portati da un angolo all’altro dell’entroterra sardo, i due cantanti vissero un’esperienza indescrivibile per chiunque. Non per il cantautore genovese, che l’ha trasformata nel racconto di un amore indissolubile e più forte della paura.
“Khorakhanè – A forza di essere vento” – Anime salve – Fabrizio De André – Ivano Fossati, 1996
Anime salve è un disco enorme e bellissimo che più di ogni altra cosa fa capire quanto la scomparsa prematura di De André ha fatto perdere alla cultura italiana. A cinquantasei anni, in collaborazione con Ivano Fossati – la prima con un artista già pienamente consolidato –, Fabrizio De André canta gli ultimi di tutto il mondo in un elogio della solitudine che è molto più di un testamento ideale.
“Khorakhanè – A forza di essere vento” prende il nome dai rom musulmani originari del Kosovo e racconta la libertà e il dolore dei nomadi, chiamati al viaggio e condannati «a imbrunire su un muro» quando si fermano.
De André (autore del 90% dei testi dell’album per ammissione di Fossati) raggiunge in questo brano alcune delle vette più alte della sua poetica. Bastano passaggi come «sentieri costretti in un palmo di mano», o «un sollievo di lacrime ad invadere gli occhi / e dagli occhi cadere», o ancora «occhi limpidi come un addio». Poi c’è il finale in romanès cantato da Dori Ghezzi, che spalanca il brano come una sofferente liberazione.