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Musica

Il concept dei Perturbazione sull’amore

A proposito dell'ultimo album della band piemontese

di Luigi Ippoliti / 4 giugno

Un concept album di ventitré  brani sull’amore. Una mossa un po’ controintuitiva quella dei Perturbazione, che con (dis)amore  tornano quattro anni dopo Le storie che raccontiamo. È controintuitivo perché decidere di scrivere e pubblicare un album di questa mole somiglia a un rischio più che altro. Ragionando con i dogmi della musica come merce, in questi anni in Italia ci siamo ritrovati ad assistere molto spesso alla produzione musicale come omologazione: dunque, il proposito dei Perturbazione è, se non da premiare acriticamente, quantomento da sottolineare.

(dis)amore ha il passo proprio del racconto che, dovendone fruire come ascoltatori e non lettori, lascia spiazzati. Almeno in una prima fase. Qui è declinato in una specie insolita, simile a una nuova visione interpretativa dell’audiolibro. In (dis)amore viene raccontata, lungo le ventitré tracce, la storia d’amore archetipica secondo certi stilemi romantici: il conoscersi, l’innamoramento, la routine, un (sembra quasi necessario) tradimento e i silenzi finali. Certamente una visione cliché dell’argomento e del suo sviluppo, ma comunque funzionale da un punto di vista narrativo.

Senza scomodare De André, viene alla mente un artista che cinque anni fa faceva un’operazione simile ma diametralmente opposta: IOSONOUNCANE con Die. Ci troviamo in un humus culturale musicale diverso. Quello dei Perturbazione è un album organizzato seguendo certi schemi pop, che ogni tanto sterza verso il rock senza perdere mai di vista la strada principale. Die, lo sappiamo, è un album che si muove in un un contesto diverso, molto più libero di spaziare, con un prog rock da denominatore comune.  Lì veniva  raccontata un’altra storia d’amore, una storia di distanza dettata dal mare, inserita in un ecosistema musicale variopinto, oscuro, quasi intelligibile, difficile anche solo meccanicamente da afferrare. È curioso pensare come due tipologie di artisti possano ritrovarsi a trattare in modo diverso un’idea strutturale simile, mossi sembra dallo stesso desiderio di allontanarsi da un fare comune stanco e fondamentalmente reazionario.

Gruppo cult del microcosmo indie (sempre a un passo dal riuscire a emergere completamente), dagli esordi in inglese è passato per un paio di momenti fondamentali: In Circolo, la svolta in italiano, e la partecipazione nel 2014 a Sanremo con L’Italia vista dal bar e L’unica. Nonostante il discreto successo con il sesto posto, la dimensione dei Perturbazione è rimasta quella di sempre.

Una sorta di sindrome che negli anni si è abbattuta su diversi gruppi usciti fuori dal panorama indie che hanno provato il salto-Sanremo, dai Marta sui Tubi ai Marlene Kuntz, fatta eccezione forse per i soli Afterhours (almeno per quanto riguarda la figura di Manuel Agnelli). L’habitat naturale di certi gruppi sembra essere proprio quello che rasenta la superficie di quella parola odiosa e pericolosa che è il successo. I Perturbazione incarnano prontamente il prototipo di questo genere di artista, splendente nei primi anni del 2000 (da ripescare Canzoni allo specchio, ingiustamente sottovalutato), e che oggi sembra faticare a trovare una dimensione reale che non sia filtrata dalla nostalgia.

Discorso racconto a parte, infatti, il substrato musicale, in (dis)amore è un riflesso invecchiato di quello che succedeva in quegli anni. Odora malinconicamente di metà anni ’00. C’è una sofferenza, magari attenuata, del Paolo Benvegnù solista, qualche riverbero alla Moltheni senza la sua indole post rock, una certo disagio dei Virginiana Miller. Oltre ovviamente ai dogmi provenienti dal mondo anglofono (dai R.E.M. agli Smiths) che trovano spazio ancora oggi. (dis)amore sembra, in definitiva, uno dei possibili manifesti di un sottogenere arrivato in ritardo  per problemi burocratici.

Nonostante alcuni limiti, soprattutto estetici, I Perturbazione, scrivono comunque un album piacevole e coinvolgente,  confermandosi dunque un ottimo gruppo che probabilmente ha già dato il suo meglio nel decennio passato, ma che per quella che è la sua dimensione non si tira indietro, sperimenta, rischia.

LA CRITICA - VOTO 6,5/10

Interessante il discorso di un album come il racconto di una storia d’amore che si sviluppa lungo le ventitré tracce di “(dis)amore”. L’aspetto prettamente musicale non impressiona più di tanto. Complessivamente, comunque, un buon lavoro per i Perturbazione.