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Libri

Enigma da camera

“La cassa refrigerata” di Francesco Recami

di Valentina Cela / 23 novembre

La cassa refrigerata (Sellerio, 2020) è il quarto capitolo della serie antologica Commedie nere, cominciata nel 2017 dal fiorentino Francesco Recami con Commedia nera n. 1 e parallela alla più longeva La casa di ringhiera. Il ciclo è incentrato sui più gretti incubi piccoloborghesi, posizionati di volta in volta un diverso ecosistema di cui l’autore mette in scena vizi (soprattutto) e (poche) virtù.

La cassa refrigerata ricorda nel titolo una commedia italiana uscita nelle sale cinematografiche nel 2018, che consigliava di “mettere la nonna in freezer”. Posta la totale indipendenza del libro dal film, la bara-ghiacciaia lussuosamente rifinita che domina la scena madre della narrazione di Recami assomiglia più a un freezer che a un feretro.  E, in un certo senso, l’impostazione è filmica anche in questo breve noir.

Descrizioni ridotte all’osso, capitoli aboliti in favore di brevi scene dialogiche dal ritmo serrato ne fanno quasi una sceneggiatura teatrale: senza difficoltà si immagina, leggendo, una trasposizione sul grande schermo. Gli scambi di battute tra le sagome – più che i personaggi – che affollano il libro colpiscono come i fulmini del nubifragio che si abbatte sull’insapore costruzione della villetta monofamiliare di Zenson del Piave, paesino del Veneto rurale in cui ha luogo l’azione.

O meglio, l’inazione di ventuno grigi personaggi di provincia – volontariamente sigillatisi nell’appartamento della defunta arpia Maria Carrer, una sorta di zia Scrooge del trevigiano, ufficialmente per presenziare alle esequie, ufficiosamente per rovistare ogni angolo in cerca del tesoretto che si vocifera la vecchia abbia riscosso dal deposito in banca e nascosto in casa pochi giorni prima di morire.

Ci sono tutte le pedine per un completo diorama da gretta cittadina di provincia: il falegname, l’insegnante, il parroco, la segretaria, il pensionato, la neomamma, il becchino, la colf, l’ex colonnello. Ventuno personaggi, miseri ed egoisti, claustrofobicamente riuniti in uno scimmiottamento del giallo classico all’inglese che, però, fa uso di uno humor tutt’altro che britannico. Dissacrante a volte fino al grottesco e allo sguaiato, Recami ci mostra accapigliamenti tra signore ingioiellate, duelli verbali di coniugi ai ferri corti, risse, votazioni per alzata di mano, segreti imbarazzanti, mani morte e amori platonici, e attinge a piene mani dal teatro boulevardier per una commedia che, dall’essere degli equivoci, passa rapidamente alla tragedia.

In calce alla pagina di ogni nuova scena, uno spietato contatore ci aggiorna sul numero dei partecipanti al funerale, vertiginosamente in calo quando, complice la bufera, si consuma nella schifata indifferenza generale una serie di omicidi misteriosi, destinati a rimanere irrisolti. La confusione, generata dal terrore di uno spietato assassino mimetizzato nel drappello di rapaci parenti, viene sfruttata a vantaggio dei superstiti per portarsi avanti e scalzare i concorrenti nella disperata caccia al tesoro. Tutto si svolge alla monumentale presenza della cassa Body Freeze, ultimo ritrovato tecnologico nel campo delle onoranze funebri, che fa la sua bella mostra in soggiorno e all’interno della quale un microclima di quattro gradi centigradi assicura alla signora Maria una perfetta conservazione. Per godersi lo spettacolo.

Malgrado la piccola comunità cerchi di organizzarsi gerarchicamente in servizi d’ordine, consulte e giunte straordinarie, senza indizi, né colpevoli o investigatori che siano capaci di ritrovare il bandolo della matassa, la prospettiva del mistero naufraga in un pericoloso quanto paradossale poliziesco, sconfinando verso la fine in punte da kidnapping thriller.

È allo stesso modo con un naufragio, stavolta letterale, che muore annegata ogni illusione di ricchezza su un gommone sgonfio portato via dai torrenti di acqua piovana e rigagnoli esondati, mentre sboccia un timido amore a lieto fine.

 

(Francesco Recami, La cassa refrigerata, Sellerio, 2020, pp. 192, euro 13, articolo di Valentina Cela)