Libri
Le voci del corpo
“Il corpo elettrico” di Jennifer Guerra
di Francesca Ceci / 22 dicembre
Il corpo elettrico di Jennifer Guerra (Edizioni Tlon, 2020) è uno dei saggi che in questo ultimo anno – insieme a Le ragazze stanno bene di Giulia Cuter e Giulia Perona, Tutte le ragazze avanti a cura di Giusi Marchetta, Bastava chiedere di Emma, L’atlante delle donne di Joni Seager e alcuni altri – ha arricchito notevolmente il dibattito sul femminismo fornendo punti di vista giovani, diversi o vicini tra loro, temi ricorrenti e spunti di riflessione imprevisti.
Jennifer Guerra, giornalista e redattrice di The vision, per cui ha curato anche il podcast Anticorpi, parte dalle parole di Walt Whitman in Foglie d’erba («I sing the body electric / The armies oh those I love engirth me and I engirth them / They will not let me off till I go with them, respons ti them / And discorrupt them, and charge them full with the charge of soul») per attraversare il corpo femminile dagli anni settanta a oggi, dagli slogan femministi alle varie ondate, dall’autocoscienza che diventa coscienza collettiva alle incertezze attuali sul transfemminismo.
«Il nostro corpo fa parte di un meccanismo politico più grande di noi che ci condiziona, ma che noi stesse – con la nostra coscienza – possiamo condizionare a nostra volta».
Nel capitolo Contenuti e contenitori si pone l’accento sull’habitual body monitoring ovvero l’idea ossessiva di una donna su come appare agli altri e nel mondo nonché in ambito sessuale. Quanto tempo si passa ogni giorno a pensarci? Quante riflessioni e paragoni scaturiscono dal semplice sfogliare i profili Instagram altrui? Ma soprattutto ci si chiede quali conseguenze un’ossessione come questa possa avere sulla vita vera: il rischio di associare il concetto di bellezza con quello di realizzazione personale, di successo e di felicità; e si arriva a riflettere sul significato di oggettivizzazione sessuale e sullo sguardo maschile (il cd male gaze), elementi presenti e diffusi contro i quali si può – si deve – tuttavia trovare una risposta ferma e prima o poi risolutiva.
Altro capitolo particolarmente interessante – come gli altri raccontato in modo chiaro, ben strutturato e documentato – è Dalla parte delle bambine, titolo che riprende un libro di Elena Gianini Belotti del 1973, nel quale si ragiona sui ruoli di genere e sulla rilevanza dell’educazione fin dall’infanzia.
Garantire un’educazione libera alle bambine è importante tanto quanto dare rilievo alla loro identità: non negarla, non imporre stereotipi di genere. La soluzione non risiede nel portare una bambina a praticare sport tipicamente maschili – se non è questo che desidera – bensì nell’abbandonare le idee con cui i bambini crescono da sempre, la semplice onnipresente distinzione tra giocattoli da maschi e da femmina, la netta suddivisone di libri per le femmine piene di principesse e di libri per i maschi ricchi di avventure e supereroi.
Per raccontarci come si fa, Guerra unisce le parole di Stendhal («piantare tutta la foresta») alle proprie ed ecco che la strada sembra improvvisamente dritta, quasi semplice:
«Piantare tutta la foresta è stare dalla parte delle bambine, perché sarà solo crescendole con la condizione che possono fare, esprimersi ed essere tutto quello che vogliono, che formeremo una generazione di donne (e uomini) consapevoli. Stare dalla parte delle bambine significa credere nel loro potenziale non di piccole spose o di piccole madri, ma di grandi donne – al momento alte un metro e dieci».