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Libri

Rotolando verso la California

Su “Steve Jobs non abita più qui” di Michele Masneri

di Niccolò Amelii / 16 febbraio

Come raccontare ciò che oggi c’è, domani forse, dopodomani invece no, è già sparito, si è evoluto, è stato rimpiazzato, è diventato altro, è stato inglobato, ha un nuovo nome e una nuova funzione? Ci ha provato Michele Masneri in Steve Jobs non abita più qui (Adelphi, 2020), volume eterogeneo e poliedrico figlio di un Erasmus tardivo (i quaranta saranno per caso i nuovi venti?) svolto a più riprese in California, e in special modo a San Francisco.

Terra di santi, santoni, guru, aspiranti ricchi, miracoli tecnologici, utopie visionarie, startuppari tossici, ceo in crisi di mezz’età, imprenditori con notevoli problemi nelle pubbliche relazioni, dove si progettano viaggi spaziali e realtà parallele postumane, la Silicon Valley è il vero centro propulsore di questo libro che è allo stesso tempo ascrivibile al filone della letteratura di viaggio, del reportage di costume e società, del memoir personale divertito e frizzantino.

Masneri spicca per ironia e autoindulgenza, forse ancora più del suo maestro Arbasino, da giovane adulto un po’ sornione e malizioso, pronto a meravigliarsi e a incuriosirsi per ogni inaspettato epifenomeno, per ogni insospettabile incontro, dialogo, apparizione, senza però mai strabuzzare eccessivamente gli occhi o cedere all’agiografia incensata. Non c’è pedanteria nelle valutazioni, né vezzo sermoneggiante, né esaltazione o invocazione alla palingenesi catartica, solo il resoconto vivido e arguto, a tratti irriverente e scanzonato, di uno dei pezzi di terra più avanzati al mondo, forse l’ultima “Terra Promessa”, presunta Happyland perversa dove il tempo vale più dell’oro e la classe media è letteralmente sparita, messasi in salvo in borghi limitrofi più adatti ad accogliere le esigenze abitudinarie di una classica vita famigliare (casa+figli+macchina+cane).

Ingegnoso e duttile, Masneri sembra possedere lo sguardo estroso, ambivalente e mai banale di chi osserva e allo stesso tempo riveste già, almeno mentalmente, quella osservazione di parole, definizioni, annotazioni. Uno sguardo che si appunta senza prendersi troppo sul serio, abile a selezionare ciò che è interessante mettere dentro, formalizzare in racconto, e ciò che invece è meglio lasciar fuori perché già letto, già sentito o già scritto. Sempre in equilibrio fra il serio e il faceto, fra il comico e il drammatico, l’opera di Masneri nasconde in sé una meritata rivincita del genere descrittivo – soprattutto di quella predisposizione descrittiva che indugia sull’architettura, sul design, sui dettagli d’ambiente domestico e d’atmosfera – e anche della forma ritratto, che a volte si fa lieve caricatura, a volte impietosa epifania (in questo senso i capitoli-intervista a Jonathan Franzen e a Bret Easton Ellis rappresentano davvero delle bonus tracks, affreschi esistenziali che coronano l’intera costruzione narrativa). Del resto, è nel particolare più irrilevante che può celarsi fugacemente il senso ultimo delle cose, o almeno il significato a noi più prossimo.

Utilizzando una lingua varia e variegata, un pastiche colorito e riccamente declinato, che mescola con studiata fluidità l’alto e il basso, lo slang e l’erudizione, la parola altrui e quella propria, Masneri non ha paura di nominare le cose, di nominarle specificamente, a costo di sembrare puntiglioso o esagerato, perché il tono di leggerezza soggiacente e il registro vivificante quanto sostenuto smorzano l’impatto delle rapsodiche tendenze catalogatorie. Come già accennato, Arbasino aleggia in quanto nume tutelare, posizionato a un’altezza ineguagliabile, sull’intero testo di Masneri ed è in fondo giusto così, perché la sua presenza fantasmatica legittima la verve compositiva di quest’ultimo, che non è mera emulazione, copia sbiadita e anacronistica, ma seria e organizzata rielaborazione individuale di una precisa modalità di fare prosa, di stendere e stemperare il linguaggio sulla pagina, di giocare con le parole e con la gamma semantica che esse disvelano, di ricercare un ritmo sostanziato ma non dilagante.

A volte, infatti, il sostrato d’occasione che alimenta i capitoli spezza l’ordito del narrato, ma la frammentarietà e l’ecletticità degli argomenti trattati sono più che giustificabili data la natura originariamente giornalistica di gran parte del materiale, poi revisionato, affinato e sublimato in forma di libro compiuto. Inoltre, il reiterato accostamento ai fatti e ai luoghi italiani – la Firenze rinascimentale, la Brianza iperproduttiva, la Sicilia gattopardesca –, che produce altrettante comparazioni e raffronti ha il merito, creando uno stuolo di riferimenti comuni e accessibili, di gettare dialetticamente maggior luce sulla fisionomia di certi atteggiamenti, peculiari attitudini ed esperienze apicali per noi ora come ora impensabili.

Ne vien fuori la panoramica realistica, stratificata e composita di un micromondo in cui l’efficienza e la dinamicità sono assurte a divinità crudeli e volubili, abitato dalle anime più svariate e agli antipodi – geni del web, maghi dell’hi-tech, adventure capitalist, vecchi fricchettoni, clochard, liberal impenitenti, libertari che sognano isole artificiali e autosussistenti, paladini dei diritti civili – che a gran fatica coesistono, convivono e si sopportano a vicenda, rischiando costantemente di sprofondare in una crisi d’isteria e di nevrosi generalizzata o in uno psicodramma collettivo, in balia di una giostra schizoide di alti e bassi, vizi e virtù, delizie e orrori.

Dotato di una spiccata vocazione per la ricezione dell’esotico californiano e delle sue manifestazioni più bizzarre e peculiari, Masneri tratteggia e abbozza con tono colloquiale e vagamente aneddotico non solo le esistenze disperate, frenetiche ed entusiaste di coloro che si gettano a capofitto nella ricerca di un successo duraturo e appagante, ma anche le condizioni di vita, le aspirazioni e i desideri dei suoi disparati interlocutori – dal multimilionario allo studentello arrivato da poco in città –, soffermandosi spesso sull’evidente sfasatura che si viene a creare tra ciò che essi fanno, progettano e rappresentano e le condizioni reali della loro esistenza quotidiana, sia pubblica che privata, soprattutto nel caso di quelli che stazionano stabilmente nel limbo della scala gerarchica, né troppo in alto né troppo in basso.

I riferimenti sostanziali ai luoghi e agli spazi di questo pellegrinaggio sulfureo nella Uncanny Valley (per citare un altro libro Adelphi uscito da poco, La valle oscura di Anna Wiener) divengono cartina tornasole dei personaggi che li attraversano, li abitano, li abbandonano, rivelando di frequente la sproporzione netta che collega, secondo una traiettoria inversamente strutturata, l’ambizione personale e il tenore di vita.

Una delle particolarità vincenti del libro sta proprio nella capacità di Masneri di verticalizzare estemporaneamente il racconto attraverso digressive rievocazioni storiche o fulminei excursus biografici, sempre aneddotici e mai nozionistici, che arricchiscono la materia narrata non solo contestualizzandola in maniera pertinente, ma ponendola in una prospettiva anche interpretativa la cui aggiunta profondità non permette di appiattire il tema sull’attualità pura e cruda e sui giudizi che ne scaturirebbero in prim’ordine.

D’altronde andare di pari passo all’attualità in una terra in cui l’oggi è talmente sfuggente da essere imprendibile, il domani è già il prossimo decennio e le polarizzazioni sociali e relazionali sono così estreme da rasentare l’implosione, è sforzo titanico ma fatuo, impresa vana quanto inutile. Masneri ne è consapevole e decide di collocarsi allora oltre l’attualità spicciola (i rimandi a Trump non sono poi così ricorrenti), cercando di fotografare le tendenze macroscopiche, le costanti dominanti, i tratti centrali e maggiormente caratterizzanti di una società in continua evoluzione, squarciando a tratti anche l’alone mistico che ne impregna la giovane ma crescente mitologia. Sviluppandosi entro un perimetro temporale ben delineato, la contingente fisionomia del libro può aiutare a circostanziare e a comprendere meglio i fenomeni in atto, quelli passati e quelli presenti, ciò che è stato e ciò che presumibilmente sarà, se non lì, nella terra dell’estremo imprevedibile, almeno qui da noi, nella nostra anziana e cara Europa, dove tutti gli stravolgimenti sociali, economici, artistici, importati dall’estero arrivano (fortunatamente) con placida e rassicurante calma.

 

(Michele Masneri, Steve Jobs non abita più qui, Adelphi, 2020, 253 pp., euro 19, articolo di Niccolò Amelii)