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Musica

Tante care cose di Fulminacci

Il secondo album dell'artista romano

di Luigi Ippoliti / 17 marzo

Fulminacci partecipa a Sanremo 2021. Porta un brano, “Santa Marinella“, che ricorda un giovane De Gregori  e fa una cover di “Penso positivo” di Jovanotti con Roy Paci e Valerio Lundini. Arriva sedicesimo. Non importa: poco dopo esce il suo secondo album, Tante care cose.

Il suo esordio, La vita veramente, è di due anni fa. Allora una delle questioni attorno a Fulminacci era se fosse it pop. O ciò che ne rimaneva. Se magari fosse un’evoluzione. Qualcosa di quel mondo fatto emergere da Calcutta lo si percepiva, ma si capiva anche che c’era molto altro. La lingua, le tematiche simili trattate con stile diverso: l’ispirazione andava ricercata in Silvestri, autore colpevolmente dimenticato tra gli artisti degli anni ’10. Senza scordarsi comunque di Battisti, che continua e continuava a essere comun divisore, generazione dopo generazione.

Quindi passano due anni, il MI AMI e soprattutto Sanremo. Arriviamo a oggi. Tante care cose è ciò che si intravedeva nel suo precedente. Si intuiva che avrebbe potuto fare qualcosa del genere, bisognava solo dare un taglio diverso al tutto. A sorprendere è la qualità generale e il salto in avanti. Non perché La vita veramente non avesse spunti, o fosse particolarmente acerbo, ma perché quest’album ha lo stigma reale dei grandi autori.

Fulminacci pare rispecchiarsi maggiormente in un architettura massimalista, rispetto a una minimalista. Tante care cose è un luogo in cui esce la dimensione di Fulminacci. Come può essere con “Miss Mondo Africa” o “Tattica“. Brani che hanno un suono che ricorda quello a cavallo del 2000, tra funk e accenni di hip hop mainstream.  A cui sommare una cifra di cantautorato, con cui lo avevamo conosciuto in precedenza, da non sottovalutare.

La coerenza strutturale di quest’ultimo lavoro è ciò che rimane ascolto dopo ascolto. Più delle melodie e dei ritornelli da canticchiare. La sensazione è che nulla sia casuale, che ogni nota sia controllata.  I due anni passati dal 2019 al 2021 sono dieci anni di Fulminacci. Una maturazione notevole.

La scelta di “Penso positivo” con cui ha partecipato a Sanremo è mirata. C’è molto di Jovanotti, di Lorenzo 1994.  A lui è si aggiunge il già citato funk alla Articolo 31 di Così com’è; sprazzi di metrica e ironia alla Silvestri (confrontare con “Le cose in comune“); venature vocali alla Ex-Otago (che in “Canguro” precipita in un vortice  alla “Bad Guy” di Billie Eilish, con quel basso tipo “Around the World” dei Daft Punk,  forse il segmento migliore dell’album). La presenza di De Gregori è forte e influisce sulla scelta di interpretazioni di diversi brani – basta solo prendere come esempio come canta la parola stella in “Santa Marinella“. C’è anche una deviazioni alla Thegiornalisti , “La grande bugia“, con quei synth retromaniaci oramai diventati cifra del presente. Il momento meno interessante, rivedibile.

A prescindere da quest’ultimo brano, si capisce che tutti questi input, se non calibrati, avrebbero dato come risultato un delirio da prendere e buttare via. Invece Fulminacci è bravo, è molto bravo, e riesce a dargli senso e coerenza a:  dietro a “Tante care cose” c’è un’idea forte e la cosa emerge in maniera palese. Non possiamo che essere felici.

LA CRITICA - VOTO 7,5/10

Fulminacci scrive un secondo ottimo lavoro, “Tante care cose”. Jovanotti, funky, Silvestri, De Gregori: una miscela pericolosa da maneggiare, ma per l’artista romano non sembra un problema.