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Libri

Immagini di emarginazione

“La parte del fuoco” di Marco Rovelli

di Luigi Buttiglieri / 30 novembre

«Vivere nella fortezza fa crescere nella paura». Tale affermazione, profferita da una delle protagoniste di La parte del fuoco (TerraRossa, 2020), sarebbe sufficiente allo scopo di cogliere il significato del libro di Marco Rovelli. Il romanzo, come scrive l’autore nella prefazione, intende difatti raccontare, nel tentativo di suscitare la riflessione del lettore, le vicende di due sfortunati, due persone irrimediabilmente emarginate agli occhi dei più: il migrante tunisino Karim e la problematica Elsa, una ragazza afflitta da problemi psicologici.

Una vicenda traumatica occorsa a Nevia, la donna con cui Karim vive, consente di venire a conoscenza, attraverso una lunga analessi, del passato doloroso dei personaggi principali: da una parte, le peripezie attraverso le quali l’uomo è riuscito nell’intento di giungere in Italia e, di seguito, a vivere da invisibile clandestino, sprovvisto dei diritti primari per cui insigni uomini si sono battuti secoli fa; dall’altra, il trascorso di Elsa, immalinconita dalle ricchezze paterne che emarginano i sentimenti, fino a spingerla, in concomitanza con altri eventi sconvolgenti, a reiterati tentativi di suicidio.

Terminato il flashback, le vicissitudini dei due si intrecciano in misura sempre maggiore, interessando marginalmente anche Nevia e squarciando il velo di un’Italia sollecita nell’abbandono dei derelitti.

Peculiare si rivela la scelta di adottare una narrazione in seconda persona: un artificio narrativo raramente adoperato dagli scrittori, che permette di immedesimarsi completamente nei ricordi struggenti e nelle amare riflessioni di Karim, al contempo permettendogli di partecipare con dolce coercizione alle sue afflizioni. In questo modo, Rovelli fa sì che almeno il lettore sia solidale con il protagonista maschile, sostanzialmente emarginato dagli affetti per colpa della propria condizione, quella di migrante clandestino senza alcun diritto.

Il romanzo è stato pubblicato per la prima volta nel 2012 (con un finale differente), ma ciononostante le vicissitudini di Karim risultano del tutto sovrapponibili a quelle delle decine di migliaia di persone che, con cadenza pressoché quotidiana, attraversano il mar Mediterraneo dall’Africa. Karim viene sfruttato dagli italiani che affittano a caro prezzo bilocali, talora senza servizi igienici, stipandovi più esseri umani rispetto a quanto sia moralmente lecito; è costretto a lavorare con l’obbligo di scappare a un possibile controllo delle forze dell’ordine; non è nelle condizioni di denunciare gli italiani che abusano di lui e dei suoi amici; è accettato, nell’Italia settentrionale, dai “terroni” semplicemente perché essi, grazie alla presenza dei migranti, hanno perso la condizione di “alterità” e non vengono più denigrati. Tante sono le analogie con i clandestini dei nostri giorni.

Numerosi sono gli altri riferimenti a condizioni che si ripropongono oggigiorno: tra gli altri, la bocca cucita dei migranti in segno di protesta o le loro autoflagellazioni curate da sanitari seccati, che portano però a un differimento dell’espulsione dal nostro Paese.

E anche quando si allude a eventi di cronaca coevi alla data di pubblicazione di La parte del fuoco, sembra cambiare rispetto all’oggi meramente la forma, non la sostanza: i CIE, in cui gli immigrati vengono reclusi nel romanzo, hanno cambiato denominazione, diventando CPR, ma pressappoco corrispondente è la loro funzione.

La ripubblicazione del romanzo, dopo quasi un decennio rispetto alla prima versione, evidenzia le affinità col recente passato in modo talmente frustrante, per chi crede nel valore dell’umanità, che l’obiettivo perseguito da Rovelli di far riflettere sul tema bollente dell’accoglienza dei migranti si può definire pienamente raggiunto. L’autore sembra suggerire che la maggior parte dei migranti cerca di integrarsi in Italia, acquisendo la nostra lingua anche tramite la lettura di un classico del secolo scorso e lavorando sodo; implicitamente, fa anche riflettere sulla cultura che non può essere messa a frutto nel Paese di provenienza (Karim è giunto a un solo esame dal conseguimento della laurea in Lettere), sulle motivazioni dei flussi migratori (Karim ha come meta del viaggio l’Italia perché la tratta era già stata percorsa da “mezzi parenti”) e sui dissidi familiari causati dalla decisione di emigrare.

Inoltre, Rovelli rievoca il travaglio del migrante che vede i propri compagni di viaggio morire durante la traversata e che porterà con sé per il resto dell’esistenza questo ricordo traumatico, domandandosi (emerge sommessamente dalle considerazioni del protagonista), in modo simile a quanto scrive Primo Levi in I sommersi e i salvati, la motivazione per cui il destino abbia scelto che alcuni morissero e che paradossalmente, col loro trapasso, salvassero altre vite.

Al contrario, riesce parzialmente la narrazione delle sofferenze di Elsa. La sua vicenda appare più “romanzata” e meno profonda rispetto a quella di Karim; ciononostante, anche la sua storia fa riflettere, specialmente per la considerazione di “pazzi” che la nostra società tende ad avere su coloro che sono stati ospiti in cliniche psichiatriche e per le riflessioni sui luoghi di cura, i quali, lungi dall’essere centri di benessere psicologico, al contrario si rivelano luoghi che non sempre aiutano le persone che vi ricorrono, tanto perché perfusi da un bianco accecante, tale da non aiutare i ricoverati (e la sinestesia con cui tale aspetto è evidenziato, il «bianco silenzio» della clinica, risulta emblematico), quanto per le capacità e per l’empatia non sempre adeguate delle persone che vi lavorano.

Anche il finale sembra eccessivamente romanzato e con ritmi narrativi estremamente rapidi, in particolar modo rispetto alle sequenze riflessive precedenti che catturano l’attenzione del lettore.

Nonostante tali considerazioni, La parte del fuoco merita di essere letto non solo per le tematiche estremamente attuali che inducono alla riflessione. Anche la forma linguistica, infatti, si rivela pienamente adeguata, riuscendo a impreziosire il contenuto del libro grazie alle efficaci figure retoriche e grazie al campo semantico del mare di cui sono piene le riflessioni di Karim, che permettono al lettore di comprendere quanto l’esperienza tragica vissuta della traversata nel Mediterraneo riesca a segnare a vita un essere umano.

Pur con alcuni difetti, Marco Rovelli riesce così pienamente nel proprio intento. Addolora, in virtù di tali considerazioni, che La parte del fuoco non sia riuscito a conseguire il meritato successo nel 2012. La sua lettura, oggi come allora, riesce a squarciare la fortezza entro cui vive l’uomo smuovendone l’empatia, e sappiamo bene quanto essa sia necessaria per capire, anche soltanto in modo limitato, il dramma degli emarginati, degli ultimi.

 

(Marco Rovelli, La parte del fuoco, TerraRossa, 2020, 170 pp., euro 15, articolo di Luigi Buttiglieri)